Le ragioni dell'esperimento, compiuto da un docente universitario, di creare una "moneta di proprietà popolare"
Per salvare l'economia via le Banche centrali
http://www.lapadania.com/2000/settembre/29/29092000p04a2.htm
di Daniele Lazzeri

 In queste ultime settimane hanno destato notevole scalpore le vicissitudini del piccolo paese di Guardiagrele, una cittadina abruzzese dove un docente universitario, il professor Giacinto Auriti, ha messo in circolazione il Simec (simbolo econometrico di valore indotto) al posto della lira. L’esperimento monetario ha coinvolto l’intera popolazione locale e ha dimostrato la sua validità tanto che i principali organi d’informazione italiani se ne sono occupati e persino la Guardia di Finanza è intervenuta sottoponendo i Simec ad un provvedimento di sequestro finito poi con un nulla di fatto: il Tribunale del riesame di Chieti ha infatti stabilito che il Simec può liberamente circolare. Confesso che, quando conobbi Auriti per la prima volta ed ebbi l’occasione di ascoltare il suo pensiero in merito alla “moneta di proprietà popolare”, la mia reazione fu molto simile a quella di quel consigliere della Banca d’Inghilterra e simultaneamente del governo americano «tanto che dopo le sue dimissioni si sussurrava che tutti e due lo impiegavano più come informatore che come consigliere: le confesso, io non ci capisco» (in Ezra Pound, Lavoro ed Usura, Milano 1996 pag. 155). Di una cosa però ero assolutamente certo: ciò che stavo ascoltando aveva, quantomeno a pelle, una “proiezione rivoluzionaria”. Da quel preciso istante capii che era necessario approfondire le argomentazioni di Auriti perché prima o poi i nodi sarebbero venuti al pettine ed il grave rischio che si sarebbe potuto correre era quello di dover sentire un coro di “io non ci capisco”. Ecco perché quando i maggiori giornali nazionali si sono occupati dell’argomento ho sentito quasi il dovere di fare ulteriore chiarezza su quest’idea della moneta di proprietà popolare nel tentativo di svelare l’arcano. Mettiamo subito in chiaro che il vizio è all’origine della questione: di chi è la proprietà della moneta? Le risposte a questa domanda apparentemente banale sono svariate e quasi tutte falsate. Si sente dire che la moneta è di proprietà dei cittadini. Non è così, anche se dovrebbe esserlo. La proprietà della moneta è della Banca d’Italia. Ma la Banca d’Italia non è forse la banca dello Stato italiano? E se lo Stato siamo noi, allora i soldi sono i nostri! Falso anche questo, la Banca d’Italia è una società privata (Bankitalia Spa) che svolge funzioni di  tesoreria per lo Stato, stampando banconote e “prestandole” allo Stato. Ecco la parola chiave “prestare”, e poiché prestare è prerogativa del proprietario ecco spiegato perché la Banca d’Italia si è arrogata il diritto di proprietà su tutta la moneta circolante. Ecco perché si è detto che il Simec vale “il doppio” della lira. In cambio di centomila lire infatti, Auriti consegna centomila Simec che hanno il potere d’acquisto però di duecentomila lire. Questo semplicemente perché se le lire rappresentano un debito nei confronti della Banca d’Italia, è necessario colmare quel debito azzerandolo e contemporaneamente accreditarne il valore al legittimo proprietario cioè al portatore delle banconote stesse. Compreso questo concetto diviene molto più semplice spiegare l’irreversibilità del debito pubblico. Ogniqualvolta lo Stato ha bisogno di soldi, se li fa prestare dalla Banca d’Italia ad un determinato tasso d’interesse. E quando lo Stato deve pagare gli interessi è costretto a farsi prestare altro denaro e l’ammontare del debito pubblico aumenta. Lo squilibrio è dunque permanente e lo Stato [NDR: inteso come singole persone che se ne sono appropriate] tenta di colmare l’incolmabile, attraverso una indiscriminata politica di privatizzazioni (svendita del patrimonio pubblico) e di forzato prelievo di risorse, attraverso la leva fiscale, prosciugando i cittadini ed impoverendo l’economia della nazione. Ecco perché più uno Stato è industrialmente avanzato e più si indebita nei confronti delle banche centrali. Se vi fosse all’opposto una concezione economica sana, dovrebbe essere lo Stato a stampare le proprie banconote senza dover ricorrere a prestiti presso altri istituti privati, poiché «dire che il Paese non può fare questo o quell’altro perché non ha denaro è come se si dicesse che non può costruire strade per mancanza di chilometri».

 Gli incrementi monetari dovrebbero essere dunque commisurati allo sviluppo economico del Paese. Più beni vengono prodotti e più moneta serve per acquistarli.  L’esempio più calzante che porta Auriti per spiegare questo concetto è quello delle dieci penne e delle dieci lire presenti sul mercato. È ovvio che potrò vendere le penne ad una lira ciascuna. Ma se devo immettere sul mercato altre dieci penne, si dovranno distribuire altre dieci lire o, in alternativa, vendere le penne al prezzo di 50 centesimi ciascuna. Ma se il costo di produzione è di 60 centesimi per ogni penna il ciclo produttivo si interrompe e l’impresa fallisce inevitabilmente. «Posto dunque che il prezzo di mercato non è solamente l’indice del valore dei beni, ma anche del punto di saturazione del mercato, quando il prezzo tende a coincidere con il costo di produzione occorre fermare sia l’emissione monetaria sia l’incremento dei beni reali» (in Giacinto Auriti, L’ordinamento internazionale del sistema monetario, Teramo 1996). Il Simec supera dunque anche la cosiddetta local money, così come intesa dall’esperienza statunitense, dove rappresenta meramente una sorta di buono sconto a circolazione parallela. Qual è dunque la differenza sostanziale o meglio ancora l’unicità del Simec rispetto alla comune concezione della moneta? È il concetto giuridico di “valore indotto”, che nasce nel simbolo monetario analogamente a quanto avviene nella creazione dell’energia elettrica che nasce all’interno della dinamo. «Nella dinamo la fonte dell’energia è il campo magnetico prodotto dagli elettrodi analogamente a quanto avviene nella creazione dei valori monetari causati da un campo di rapporti convenzionali, cioè da un fascio di previsioni del comportamento altrui come condizione del proprio, che lega tutti i cittadini. Ognuno è infatti disposto ad accettare moneta contro merce perché prevede di dare moneta contro merce». Chi crea il valore dunque non è chi emette la moneta ma chi l’accetta. Mettiamo un banchiere a stampare banconote su un’isola deserta e scopriremo che queste banconote non valgono nulla poiché non vi è nessuno disposto ad accettarle come mezzo di pagamento.[NDR: nella realtà hanno accumulato risorse inutili proprio in isole deserte, i cosiddetti paesi offshore]

 Un’ultima nota sulla possibilità data dall’introduzione della moneta di proprietà popolare di divenire uno strumento di politica sociale. Riflettiamo un attimo sugli effetti delle rivendicazioni salariali da parte dei sindacati. Queste hanno finito per trasformare gli aumenti di salario in semplici aumenti dei costi di produzione con conseguente aumento dei prezzi e nuove richieste di aumenti salariali in una spirale inflazionistica “prezzi-salari-prezzi” senza fine. Il problema è risolvibile solamente istituendo un “reddito di cittadinanza” dovuto ai cittadini per il semplice fatto che collettivamente hanno partecipato all’incremento del reddito nazionale. Ecco perché Auriti suggerisce che «le somme di nuova emissione, necessarie per le attività produttive, siano date in prestito agli operatori economici senza interesse, ed una volta restituite dopo l’adempimento dei cicli produttivi , siano ripartite fra i cittadini, instaurando un nuovo diritto patrimoniale ad integrazione di quelli della persona umana ed attinente allo status di cittadino».

 Questo eviterebbe ovviamente il fenomeno più diffuso nelle società moderne, quello del “sottoconsumo”, confuso troppo spesso con quello di “sovrapproduzione”, poiché se ci fosse veramente sovrapproduzione non ci si potrebbe spiegare perché in molti muoiono di fame. La verità è che non c’è denaro a sufficienza per acquistare i beni prodotti dalle aziende, spesso costrette a mantenere costosissime scorte di magazzino. Il “reddito sociale di cittadinanza” risolverebbe quest’assurdo problema, evitando la follia della “miseria in mezzo all’abbondanza”.



Nota: E ora vi stupite se il Presidente di Bankitalia è diventato Presidente della Repubblica? E se la nostra politica estera è nelle mani dell'ex governatore Bankitalia? Si privatizzano i profitti e si socializzano le perdite [i profitti sono reali, le perdite sono: salute, dignità umana, esercizio dei diritti, etc.], vecchio trucco sempre valido. Nella realtà il sistema monetario attuale è concepito principalmente per far restare il potere in mano ad una banda antidemocratica di farabutti. Le stesse considerazioni dell'articolo vanno applicato ai Buoni del Tesoro, usati per indebitare illecitamente il popolo suddito. La domanda è: cosa fare per restituire a Cesare quello che è di Cesare, da sempre ?