Pietro Milio, avvocato siciliano e senatore radicale, è un combattente nato: vorrebbe strappare al carcere Bruno Contrada, ex dirigente dei Servizi condannato per collusione con la mafia, ma chissà se i giudici d’appello - dove il processo è in corso - gli daranno ragione. O crederanno invece a due pentiti con un lunghissimo carnet di omicidi alle spalle.
Pietro Milio, fine giurista e parlamentare che non ha riguardi per nessuno, gradirebbe che ministri degli Esteri come Lamberto Dini o ex ministri del Tesoro come Carlo Azeglio Ciampi gli spiegassero perché nel 1997, quando presentò un’interrogazione sul caso Telecom-Milosevic, nessuno lo degnò di uno straccio di risposta. Oggi, con le rivelazioni di Repubblica quel caso è diventato uno scandalo internazionale. Pietro Milio, uomo testardo e determinato, non grida vittoria, ma si augura che la vicenda non venga ignorata - come sembrano fare molti mezzi d’informazione - quasi fosse una questione privata di due giornalisti a caccia di scoop. Il nostro parlamentare radicale ha dovuto aspettare sino alle otto di sera di ieri (esattamente le 20 e 11) prima che l’agenzia di stampa più diffusa in Italia gli desse un resoconto (stringato) sullo scandalo del Palazzo. Un ritardo da record.
Quegli
affari con Slobo
http://www.unionesarda.it/unione/2001/17-02-01/CRONACA%20REGIONALE/FAT02/A05.html
(...)
Leggendo bene quel testo Pietro Milio,
uomo di tante battaglie, si è chiesto come mai non comparisse il
nome di Carlo Azeglio Ciampi. Eppure quel nome-innominabile veniva citato
nella sua vecchia interrogazione, sebbene rimasta senza risposta.
Quel nome lo cita anche Repubblica per ricordare che Ciampi, quando venne
firmato il patto segreto con il dittatore nazi-comunista di Belgrado, presiedeva
il ministero del Tesoro. All’epoca azionista di controllo della Stet, la
società che versò 878 miliardi di lire, più una presunta
tangente del 3 per cento, per aggiudicarsi una quota rilevante della Telekom
Serbia.
Un affare al quale partecipò anche la Grecia e che portò nelle casse del regime nazi-comunista (oggi sconfitto da elezioni democratiche) una vagonata di miliardi. Miliardi che servirono al regime del dittatore-stupratore etnico, per rafforzare la sua leadership politica e massacrare indisturbato le popolazioni inermi del Kossovo. Tutto questo mentre la Serbia doveva essere colpita dall’embargo che anche l’Italia diceva di rispettare.
Il nostro avvocato e parlamentare di tante battaglie, sta ancora chiedendosi perchè la pattuglia radicale che comprò le azioni Telecom per poter partecipare all’assemblea degli azionisti, venne ridotta al silenzio (provocatori, provocatori...). Fu quasi cacciata via quando Gianfranco Dell’Alba tirò fuori il caso Telecom-Serbia “chiedendo conto perchè un’azienda italiana avesse deciso di compiere un’operazione ad altissimo rischio e di grande valore politico”.
“Oggi ci chiediamo - spiega Dell’Alba - quanti carri armati, quante munizioni, quanti soldati sono stati addestrati per fare poi quel che è successo in Kossovo, grazie alla maxi-tangente pagata da Telecom Italia.” Il ministro Dini - dice l’Agenzia - è pronto a rispondere in Parlamento sulla “sua estraneità ai fatti”. Non ne dubitavamo.
Alberto
Testa
«È chiaro - scrive il leader di An - che l’affare Telecom-Serbia finanziò Milosevic. Ma fu solo un errore e un atto di cinismo politico di Dini, come sostiene il vice-premier serbo Korac, o c’è dell’altro?. Perchè - si domanda Fini - Belgrado pose il segreto di Stato sul contratto di vendita? Perchè da tempo ambienti del Dipartimento di Stato Usa definiscono inaffidabile il nostro ministro degli Esteri? In quale misura gli interessi nazionali ed occidentali furono compromessi dall’operazione finanziaria, che di fatto salvò dalla bancarotta il dittatore e che violò le sanzioni imposte dalla Serbia?». E ancora: «Dei 1500 miliardi di lire incassati da Milosevic da Telecom - prosegue Fini - quanti furono utilizzati per preparare e realizzare massacri etnici in Kosovo?
Anche
Antonio Di Pietro chiede che il ministro Dini riferisca in Parlamento,
mentre Marco Taradash ha presentato un’ interpellanza al presidente del
Consiglio Amato e al ministro Dini per sapere «se le rivelazioni
del quotidiano corrispondano in tutto o in parte a verità».
Secondo il responsabile esteri di Rifondazione comunista Ramon Mantovani
la ricostruzione di Repubblica è «plausibile» . I radicali,
infine, invitano Ciampi e Prodi a «far luce» sulla vicenda.
Roma Una maxi tangente da1500 miliardi. Due conti esteri. Un dittatore, Slobodan Milosevic, foraggiato da una montagna di denaro italiano con il placet del governo D’Alema attraverso il ministro Dini. Il tutto in un accordo segreto Roma-Belgrado che portò all’ingresso di Telecom Italia nella Telekom Serbia. La bomba è esplosa ieri sulle colonne di Repubblica, e - tra smentite e conferme - ha scatenato un terremoto politico le cui conseguenze è difficile prevedere.
L’operazione, siglata dall’amministratore della Stet Tommaso, Tomasi di Vignano, risale al 9 giugno del 1997 e consentì a Telecom Italia di acquisire il 29% della società serba. Il 3% del controvalore, secondo la ricostruzione, sarebbe sparito in due conti esteri. Nel documento pubblicato dal quotidiano figurerebbero le istruzioni per il trasferimento di 32 milioni di marchi in Gran Bretagna ai mediatori dell’affare. Su questo documento Milosevic pose il segreto. La Stet-Telecom Italia concluse l’accordo con il governo della Repubblica di Serbia per l’ acquisizione del 29% del gestore delle telecomunicazioni, Telekom Serbia, al prezzo di 893 milioni di marchi (circa 878 miliardi di lire). L’accordo prevedeva anche l’ingresso del gestore delle telecomunicazioni greche OTE nell’azionariato di Telekom Serbia con una partecipazione del 20% a fronte di un prezzo di 675 milioni di marchi. La partecipazione in Telekom Serbia prevedeva anche un contratto di assistenza tecnica a favore di Stet con un corrispettivo calcolato in percentuale sul fatturato dell’operatore serbo. Telekom Serbia aveva un portafoglio clienti di 2 milioni di abbonati.
Fin qui i dettagli “tecnici” dell’operazione. Ma quelli politici sono ancora più inquietanti. Perché secondo il vice premier serbo Zarco Korac il regista di tutto fu il ministro degli Esteri italiano. «Il denaro dell’affare Telecom - racconta Korac - servì per sostenere Milosevic e fu una dimostrazione di cinismo e un errore da parte di Dini». Secondo il vice premier serbo il denaro italiano «servì per sostenere il regime di Milosevic, allora in difficoltà, e , forse, anche le operazioni militari in Kosovo, perché una volta dato al governo di Milosevic, certo il denaro finiva dove lui riteneva dovesse finire». E mentre Belgrado annuncia l’apertura di un’inchiesta penale contro Milosevic, Lamberto Dini nega tutto: «Seppi dell’operazione Teelecom solo dai giornali. Nessuno di preoccupò di chiedere un interessamento, una benevolenza, che pure sarebbe stato normale». Dini nega anche un coinvolgimento della moglie nella vicenda: «Tempo fa - ricorda il ministro - qualcuno in Montenegro diceva che mia moglie aveva degli interessi in questa storia, delle azioni. Falsità. Mia moglie non è mai stata in Jugoslavia.