«Vogliamo la verità sulla morte di nostro figlio»: un anno dopo la morte del caporalmaggiore Salvatore Vacca, stroncato a 23 anni dalla leucemia al ritorno da una missione in Bosnia, i genitori attendono che sia fatta luce sull’«arma invisibile» che potrebbe aver ucciso il soldato. Maggior imputato: l’uranio impoverito contenuto nelle bombe ad alta penetrazione utilizzate nella guerra dei Balcani. Ma anche un’altra famiglia, quella di Giuseppe Pintus, il bersagliere di Assemini che ha prestato servizio presso il poligono militare di Teulada, morto ugualmente di leucemia, attende da anni una verità. E da Teulada, dopo i sospetti, le notizie di stampa e le interrogazioni parlamentari sull’argomento U238, è giunta dal comandante militare della Sardegna una secca smentita: nessuna forza armata ha mai utilizzato munizionamento con penetratori a uranio impoverito.
Marco
Landi
L’uranio
238 viene utilizzato nelle armi anticarro (è anche il munizionamento
degli aerei A-10 americani) perché la penetrazione di un proiettile
è in funzione del suo peso specifico: più alto è il
peso specifico del metallo utilizzato e più bassa è la velocità
necessaria e, di conseguenza, più efficace è la potenza di
penetrazione. Il peso specifico dell’U238 è di 18,7 chili per decimetro
cubo (un litro d’acqua pesa un chilo, un litro di uranio pesa 18,7 chili).
L’uranio ha una capacità di penetrazione doppia a quella del ferro
e nell’impatto si forma una polvere (tossica?) che si incendia disperdendosi
nel carro colpito e nell’ambiente. Solo il tungsteno è più
“pesante” dell’uranio, ma costa 50 mila lire il chilo. Invece l’U238 è
l’avanzo dell’uranio estratto dalla miniera dopo che gli è stato
tolto l’U235, usato nelle centrali atomiche. L’U238 - la cui radioattività
si dimezza in 4 miliardi e mezzo di anni - è altamente conbustibile
e questa caratteristica che lo rende più dannoso: «La dispersione
nell’aria di particelle respirabili prodotte è causa di seri rischi
e le energie rilasciate durante il suo decadimento - si legge in un documento
del Comitato Stop all’Uranio 238 - vengono messe in circolazione
sotto forma di raggi. Raggi formati da particelle ad altissima energia
che hanno il potere di attraversare la materia, corpo umano compreso. Per
la scienza ufficiale una dose minima di radiazioni non è nociva,
ma i raggi danneggiano l’equilibrio interno delle cellule colpite (soprattutto
polmoni e altri organi interni) e l’urto del raggio emesso dall’U238 con
il nucleo della cellula spezza la doppia elica del Dna e la compromette
irrimediabilmente». (m.l.)
![]() Il caporalmaggiore Salvatore Vacca, morto nel 1999, in Bosnia [US] |
![]() Il bersagliere Giuseppe Pintus, morto nel 1994, a Teulada [US] |
Nuxis Il gioco dello scarica-uranio 238 era cominciato subito dopo la guerra del Golfo. Ma erano state le «campagne umanitarie» dei Balcani, un manuale supersegreto scritto in inglese e due morti di leucemia pianti con lacrime sarde a dare il via alla gara più cinica. Sanitari con o senza stellette, ministri con o senza portafogli, politici con o senza partito, e soprattutto militari, negano tutto. E tutti sostengono: l’uranio 238 o uranio impoverito, contenuto nel moderno munizionamento da guerra made in Usa e utilizzato da tutti gli eserciti Nato, non è dannoso. Basta prendere qualche piccola precauzione (guanti di gomma e una mascherina sulla bocca) e il gioco è fatto: sull’uomo gli effetti “secondari” delle bombe superperforanti e superesplodenti sono praticamente nulli. Ma andiamo, il livello di radioattività dell’uranio impoverito utilizzato per costruire i proiettili anticarro - sostiene perfino qualche generale, come il portavoce militare della Nato, Marani - è inferiore a quello di una normale la pila di orologio.
Chissà
se il magistrato della procura militare di Roma e il sostituto procuratore
della Repubblica di Cagliari - che hanno aperto due distinte inchieste
sulle cause della morte per “leucemia acuta linfoblastica” di due militari
sardi - terranno conto delle parole del generale. Un anno dopo la morte
di Salvatore Vacca, 23 anni, di Nuxis, caporalmaggiore dei carristi in
missione in Bosnia, e a quasi sei anni dal calvario del bersagliere di
Assemini Giuseppe Pintus, ucciso dalla leucemia a 24 anni, i magistrati
- seguendo la logica del generale - potrebbero aprire un nuovo filone di
indagine: per accertare, eventualmente, se i due militari tenessero al
polso uno swatch. «Io so soltanto che mio figlio Salvatore
è partito sano per la Bosnia e me lo hanno restituito morto».
Giuseppe Vacca, ex sottufficiale dei carabinieri ormai in pensione, non
aggiunge molte parole al suo dolore di padre. Esaurite le lacrime gli resta
la rabbia. Vuole sapere perché suo figlio, giovane, sano, fisico
da atleta («giocava instancabilmente a pallone anche tre ore di seguito»),
abile arruolato dall’Esercito, scelto per una missione all’estero in un
teatro di guerra, dalla Bosnia sia tornato a casa malato, privo di forze,
allo stadio terminale di una malattia terribile che lo ha ucciso. «Ucciso
da che cosa? Da quei maledetti proiettili. Tore ha cominciato a stare male
con i primi bombardamenti americani. Lui stava in Bosnia, ma a pochi chilometri
dalla frontiera con la Serbia, dove cadevano quelle bombe all’uranio».
La madre del caporalmaggiore, Peppina Secci, non ostenta certezze, ma pone
molti interrogativi e non è disponibile ad indulgere alla facile
“pubblicità del dolore” esposto in tv (è stata invitata alla
trasmissione di Rai 2 “I fatti vostri” ed ha declinato cortesemente l’invito:
chi deve sapere sa già tutto, e questi purtroppo sono “fatti nostri”).
Non ha bisogno di leggere fogli matricolari, stati di servizio o relazioni
mediche accatastate sul tavolo della linda cucina nella villetta di S’acqua
Callenti, a Nuxis: la madre del soldato ha stampata nel cuore, prima ancora
che nella mente, l’interminabile cartella clinica che contiene la vita
e la morte di un figlio di 23 anni. «A gennaio dell’anno scorso Tore
era tornato a casa in licenza, stava bene. A marzo aveva cominciato a star
male. All’inizio di maggio del ’99 era stato ricoverato all’ospedale militare
per dodici giorni, gli si era gonfiato il collo, aveva perso undici chili.
Gli curavano una forma di ipertiroidismo, dicevano. “Cercati un buon endocrinologo”,
gli disse il capitano al momento di dimetterlo, lo stesso ufficiale medico
che lo accusava di non voler tornare in Bosnia». Un “lavativo”? «Altro
che lavativo, lui voleva tornare tra i suoi compagni nei Balcani. Ma sono
stati loro a non farlo partire, con una convocazione “fuori orario” lo
avevano chiamato in caserma lasciando a poi terra assieme ad altri sette
commilitoni: l’aereo sul quale dovevano essere imbarcati “era già
partito”. E Tore continuava a perdere peso. Era magro, deperito quando
lo ricoverarono in regime di day hospital alla Clinica Aresu. Poi è
cominciato il calvario negli ospedali cagliaritani con la stessa diagnosi
di ipertiroidismo trasformata poi in ipotiroidismo: ricoverato e dimesso
all’Ospedale civile, due settimane più tardi visita all’oncologico
e ulteriore ricovero di un solo giorno, per via del proseguimento della
“convalescenza”, all’ospedale militare. Soltanto ad agosto del ’99, dopo
un arresto cardiaco, un blocco renale e il ricovero in terapia intensiva
all’Ospedale civile, i medici hanno cominciato a sospettare che Tore avesse
un tumore, la leucemia. Ma era troppo tardi, aveva il sangue avvelenato.
È morto il 9 settembre». Peppina Secci lo dice nascondendo
pudicamente ogni emozione. Ma poi il tono di voce si altera impercettibilmente:
«Prima di morire mi aveva raccontato di uno strano episodio, di una
missione fatta alla ricerca di un aereo americano carico di bombe abbattuto
dai serbi. E prima di morire amici e commilitoni andavano a trovarlo, alcuni
di loro avrebbero dovuto portargli delle cassette registrate, le sue cose
dalla Bosnia. E improvvisamente attorno a lui i militari hanno fatto il
vuoto. C’è troppa omertà: forse i superiori sapevano, e forse
i suoi commilitoni hanno paura. Ci siamo rivolti con un esposto-denuncia
al Tribunale del malato, e ora spero che sia la magistratura a fare chiarezza
in questa vicenda. Troppi sospetti, troppo cose poco chiare, compreso il
carro armato distrutto usato dai soldati in Bosnia come orinatorio. Solo
dopo la morte di Tore i militari in Bosnia prendono mille precauzioni a
causa di quell’uranio, è stato distributo un libretto di istruzioni.
La morte di mio figlio è servita almeno a questo». Uranio
impoverito tossico, radioattivo, inquinante e assassino? Desolati, niente
risulta a questi alti comandi. E neppure al ministro della Difesa («il
militare morto di leucemia non è mai stato in Kosovo»). La
magistratura indaga.
Assemini «Naturalmente non ho nessuna prova certa, ma soltanto molti sospetti: mio fratello potrebbe essere venuto a contatto con quel tipo di proiettili all’uranio impoverito nella base militare di Teulada. È partito sano, dopo nove mesi ha perfino donato il sangue, stava bene. “La sua malattia è legata all’uso di quel tipo di armi?”, questa è la domanda che ci tormenta da anni. Ed è diventata un chiodo fisso dopo la morte di Salvatore Vacca, l’altro militare morto dopo la missione nei Balcani. Troppe le analogie, troppe. Abbiamo passato gli stessi guai, ecco perché sto tentando di costituire una sorta di “Comitato vittime dello Stato”. Per difenderci dalle bugie, dalle omissioni, dall’impenetrabile cortina di segreti militari, perché non muoia più nessuno». Gianni Pintus, consigliere comunale di Assemini, fratello di Giuseppe Pintus, bersagliere di leva, ucciso a 23 anni dalla “leucemia acuta linfoblastica”, non sa darsi pace. Da sei anni, da quando suo fratello morì, ha ingaggiato una battaglia legale con il mondo delle stellette anche per il modo con il quale «Giuseppe è stato “scaricato” all’ospedale oncologico, malgrado non fosse ancora congedato, congedo giunto soltanto dopo la sua morte».
Ma dopo l’interrogazione presentata alla Camera dall’onorevole Giovanni Russo Spena che chiede di sapere se, per caso, anche nel poligono Teulada si faccia uso di proiettili all’uranio impoverito, il generale Angelo Lunardo, comandante militare della Sardegna smentisce decisamente: «A Teulada nessuna forza armata ha mai utilizzato o potuto utilizzare munizionamento con penetratori ad uranio impoverito». (m.l.)