Tracce di cobalto. I laboratori della Sorin Biomedica di Saluggia: l'alluvione dell'ottobre scorso ha sciolto cobalto nel fango tracimato nel cortile.
È un fortino circondato dall'acqua. A 20 metri scorre la Dora Baltea, poco più in là il Po e i canali agricoli Farini e Cavour. Intorno la pianura vercellese. Benvenuti a Saluggia, Italia. Qui, in pochi ettari, c'è la più alta concentrazione di radiazioni del Paese: 5.800.000 miliardi di Becquerel, l'unità di misura della radioattività. Ai tempi di Chernobyl la Cee bloccava il latte che conteneva più di mille Becquerel di cesio, 125 di stronzio, 20 di plutonio. A Saluggia ci sono 3.200 metri cubi di cesio, stronzio, plutonio (e uranio) stipati in tre «dispense»: il centro ricerche Eurex dell'Enea (Ente per le nuove tecnologie, l'energia e l'ambiente), il deposito del vicino laboratorio farmaceutico della Sorin Biomedica (azienda che produce materiale per terapie ed esami radiologici) e quello Avogadro, di proprietà della Fiat Avio e affittato alla Sogin, la società nata per smantellare il nucleare in Italia.
Un cocktail radioattivo che sta destando non poche preoccupazioni anche tra gli addetti ai lavori. E in cui il plutonio è forse la sostanza che allarma di più. In natura non esiste e viene prodotto durante le fissioni nucleari, serve a costruire ordigni atomici, una valigetta basta a far saltare per aria un'intera città. Tutti ricordano il volto tirato del ministro della Difesa Sergio Mattarella mentre, nei giorni scorsi, in Parlamento riferiva sui proiettili all'uranio impoverito in Bosnia: «Sono state trovate tracce di plutonio». Indirettamente, il ministro lanciava un allarme: il plutonio, pur non essendo particolarmente radioattivo (può essere schermato dai vestiti), se viene ingerito o inalato è più pericoloso del cianuro. Un microgrammo può bastare per uccidere un uomo. Si attacca alle ossa, sostituendo il calcio, martella il midollo osseo, modifica i tessuti, causa tumori e leucemie. E ha una vita di 24 mila anni.
Ma in Italia dove è custodito? Le stime ufficiali parlano di ben 2 tonnellate di plutonio legate all'uranio nelle barre di combustibile utilizzate per i reattori nucleari. Ma il vero enigma è dove si trovi il plutonio puro. «Non possiamo parlarne, ne va della sicurezza nazionale» si allarmano all'Enea. Ma tra gli esperti girano i nomi di tre siti: Ispra, Saluggia e Casaccia, gli stessi che appaiono in un documento riservato dell'Enea. Si tratta di oltre 40 chili custoditi sotto il controllo dell'Anpa (Agenzia nazionale della protezione ambientale), che si occupa della protezione sanitaria.
La contabilità al milligrammo viene svolta dalla Iaea, l'agenzia internazionale per l'energia nucleare, una specie di gendarme della salvaguardia strategica. In pratica non può sparire un milligrammo di plutonio senza allertare la comunità internazionale. E 40 chili potrebbero bastare per costruire una ventina di ordigni atomici, un tesoro che potrebbe far gola a diversi gruppi terroristici.
Panorama ha scoperto che nel centro comunitario di ricerca di Ispra, in provincia di Varese, sulla riva lombarda del Lago Maggiore, si trovano circa 30 chili di plutonio. La parte restante è divisa tra Saluggia e Casaccia, in provincia di Roma. Anche nel centro vicino a Vercelli parlano poco volentieri del pericoloso metallo: «Preferisco lasciar perdere l'argomento» taglia corto Francesco Troiani, 43 anni, direttore del laboratorio vercellese. Sulla strada che porta al centro perso nella campagna vercellese c'è un'occhiutissima caserma dei carabinieri. Intorno ai bunker filo spinato e un buon numero di uomini in divisa verde, agenti di sicurezza privati. Sembra un sito militare, ma non lo è. È più semplicemente una delle casseforti del plutonio tricolore. «Quello che si trova nel nostro centro» spiega Troiani «è in un bunker supersicuro e top secret. Per evitare guai lo abbiamo solidificato e l'abbiamo reso meno puro mischiandolo con l'uranio». Il risultato sono decine di cilindri chiusi in barilotti d'acciaio inossidabile.
Non è il plutonio, però, la preoccupazione maggiore per gli esperti del nucleare italiano. Dentro un grande capannone bianco, proprio in riva alla Dora Baltea ci sono migliaia di bidoni d'acciaio pieni di rifiuti radioattivi sciolti nel cemento. Dentro al cemento cesio, stronzio, uranio, plutonio. Poco distante, un altro bunker interrato contiene il vero nemico: una dozzina di serbatoi con 220 metri cubi di liquidi radioattivi, 112 particolarmente pericolosi. Disciolti in acqua e acido nitrico si trovano i prodotti della fissione nucleare: elementi come cesio, stronzio, rutenio, rodio, molibdeno, zirconio. Liquidi, per molti, a rischio alluvione. Infatti a ottobre il centro è andato a bagno dopo lo straripamento dei canali.
Saluggia ci preoccupa» conferma Massimo Scalia, presidente della commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti. «Bisogna accelerare i tempi di sgombero delle scorie. La soluzione? Potremmo trasportarle in Francia. Prima possibile». Per il deputato verde quello di Saluggia è l'unico vero allarme radioattivo italiano, anche perché l'intensità delle alluvioni degli ultimi anni «ha evidenziato l'inadeguatezza del progetto iniziale del centro, che non impedisce allagamenti». L'Anpa non sembra meno preoccupata: «Non bisogna perdere tempo, entro cinque anni occorre solidificare i rifiuti liquidi» afferma l'ingegner Roberto Mezzanotte, direttore del Dipartimento rischio nucleare e radiologico. «Ma bisogna anche trovare il modo di controllare le alluvioni. Magari alzando gli argini del fiume».
Insomma, è vietato prendere sottogamba l'emergenza Saluggia. «Il centro al momento è sicuro» ribatte Troiani. «Certo, l'innalzamento delle temperature, l'aumento dei detriti nei fiumi, l'urbanizzazione selvaggia della Val d'Aosta rendono possibili inondazioni sino a trent'anni fa impensabili». Tanto che a ottobre è entrato in funzione per la seconda volta (la prima è stata nel '94) il piano antiallagamento del centro. Niente di grave, il fortilizio innalzato a 2,5 metri sopra la campagna non è stato invaso. Ma in molti hanno tirato un sospiro di sollievo. Anche perché il centro confina con altri due siti a rischio.
Nei vicini laboratori della Sorin (circondati da cartelli gialli con la scritta nera «Limite invalicabile») l'ultima alluvione ha sciolto tracce di cobalto nel fango. «Negli anni 80 una perdita aveva contaminato i laboratori, che non sono stati ancora ripuliti» spiega Mezzanotte dell'Anpa. E così l'acqua penetrata negli edifici ha dato una bella sciacquata, uscendo poi nel cortile. Nel confinante deposito Avogadro, un vecchio reattore della fine degli anni Cinquanta, le strutture sono le più usurate d'Italia. La piscina di cemento in cui sono contenute 80 mila tonnellate di barre di combustibile irraggiato (una quantità seconda solo a quella di Caorso, in provincia di Piacenza) perde acqua. Per questo l'Anpa ha stabilito che le barre dovranno essere «traslocate» entro il 31 dicembre 2004. Non si sa ancora dove. Chissà se la Dora Baltea aspetterà.
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