FIRENZE — Sintomi di rabbia, fra gli allevatori che vedono passare come un carroarmato sulle loro aziende l'allarme mucca pazza. Ma anche tanta voglia di proporre, continuando a pensare da imprenditori. Come fa Giancarlo Lippi: a Firenze ha due aziende nei settori elettrico e telefonia, ma a Piacenza fa l'allevatore in un'azienda del settore latte, con circa 300 capi.
La sua esperienza fiorentina lo spinge a riflettere: «Quando metto sul mercato anche solo una lampadina, devo sottoporla alla valutazione di istituti che ne certifichino conformità e non pericolosità. Un esempio sono le certificazioni Iso. Idem per la telefonia. Allora perché contro mucca pazza si vuol procedere a interventi indiscriminati sul bestiame?».
Lippi la sua proposta ce l'ha, ed è il seme di quella voglia di imprenditorialità che intende resistere, razionalizando: «Mi rivolgo alle associazioni di categoria: se nelle loro strutture locali si dotassero di istituti di analisi per i controlli vicini al consumo, certificati poi da un organo centrale, il problema diverrebbe superabile». Si spiega: «Dopo la macellazione, prima di essere lavorati, i bovini debbono rimanere alcuni giorni a riposo: 20-25 giorni in cui c'è tempo di fare tutti i controlli possibili. Se il capo è malato, lo si distrugge, ma se è sano posso mangiarmi non solo l'osso della bistecca, ma persino il cervello».
La questione è che il morbo della mucca pazza sembra avere periodi di latenza. Lippi si appella alla vicenda della mucca Sissi: accusata in un primo momento di essere malata di Bse — e di essere dunque il secondo caso italiano di mucca pazza — dopo pochi giorni venne 'assolta' dalle successive analisi.
«Non ho dubbi che la mia sia una proposta praticabile e conveniente per tutti — insiste Lippi —. Per allevatori, macellai e soprattutto per i consumatori. Le bestie sarebbero tutte controllate e verrebbero immesse sul mercato con una tessera sanitaria individuale. Se la bestia è sana non c'è bisogno delle cautele generiche. Perché mettere tutti i capi sullo stesso piano? Serve è un approccio diverso, più capillare».
Alla base di tutto resta l'amarezza degli operatori di un settore che si sente sull'orlo della disfatta: «I miei vitelli? Macché — racconta un Lippi desolato —, non so più che farmene. Non li vuole macellare più nessuno. Che devo fare? Stanno in stalla, all'ingrasso e a morire di vecchiaia, tenuti a forza fuori dal circuito produttivo e imprenditoriale».
Monica Nocciolini
Nella
foto: Giancarlo Lippi
Vedi: BSE: Waste firm may face prosecution over radioactive find (Yahoo, 1 febbraio)