ROMA - «Serve cautela, bisogna raccogliere dati e solo sulla base di questi si posso addurre argomentazioni sicure e serie, scientificamente e clinicamente ineccepibili E’ giusto preoccuparsi perché si è trattato di uranio, ma bisogna stare attenti a trarre conclusioni prima di avere elementi certi. Si sta parlando troppo, a vuoto e senza avere dati concreti». E’ questo il commento di Alessandro Pileri, direttore della scuola di specializzazione in Ematolgia all’università di Torino, sui casi di leucemia che hanno colpito alcuni soldati in missione nei Balcani.
Quali sono i dati indispensabili per poter ottenere risposte scientificamente valide?
«Come prima cosa bisogna stabilire se c’è stata radioattività o meno e di quale entità sia stata. Poi va accertato il tempo intercorso dal momento in cui, in questo caso i soldati, sono stati esposti e la data in cui la leucemia acuta è insorta: perché notoriamente sappiamo dalle esperienze passate, per esempio sui radiologi che una volta si esponevano molto a radiazioni, o dopo Hiroshima e Cernobyl, che ci sono le medie e le alte esposizioni, ma le leucemie acute non compaiono mai dopo pochi mesi, il picco si realizza tra i 3 e i 5 anni dopo. Se la malattia compare dopo 8 mesi o un anno la causa può essere un’altra».
Ma in questo caso il numero dei malati non è superiore alla media?
«Quello che ho letto sui giornale è al di sopra della media, ma perché un fenomeno possa essere statisticamente significativo non basta un campione solo, perché può capitare che in un certo periodo storico ci sia una maggiore incidenza. I numeri con i quali stiamo facendo i conti si riferiscono a 30mila persone, quindi 2 leucemie in più o meno, in questo caso già significa andare al di sopra della media, invece gli studi si fanno su milioni di persone. I campioni si prestano ad errori di carattere statistico».
I numerosi vaccini a cui i soldati vengono sottoposti possono avere un legame?
«No,
assolutamente. Non c’è la minima dimostrazione che la vaccinoterapia
abbia un nesso con le leucemie acute. Alcuni tumori del sistema linfatico
specialmente, i linfomi non hodgkin, possono essere più frequenti
a seguito di esposizioni a stimolazioni immunitarie ma tra queste anche
quelle ambientali come diserbanti, pesticidi, coloranti per capelli».