ROMA
— L’Osservatorio per la tutela del personale delle Forze armate ha denunciato
il terzo caso di militare morto per leucemia al ritorno dai Balcani. Si
tratta di un maresciallo, di Roma. Sempre all’Osservatorio risulta che
sei militari romani, tra reduci dai Balcani ed elicotteristi, hanno contratto
varie forme di tumore. Intanto, in Sardegna, un sottufficiale della Brigata
"Sassari", già impiegato nei Balcani, è stato colpito da
un’affezione a carattere immunitario-istologico. Sotto accusa l’utilizzo
nei Balcani di uranio impoverito e l’uso di materiali tossici per l’assistenza
agli elicotteri. Il ministro della Difesa, Sergio Mattarella, scrive al
"Messaggero": «Dare serenità alle famiglie».
ROMA - Un altro militare è morto per leucemia. La notizia è stata diffusa dal maresciallo Domenico Leggiero, delegato del Cocer dell’Esercito e membro dell’Osservatorio nazionale per la tutela del personale delle Forze armate. Il militare, un maresciallo della Croce rossa, di Roma, aveva prestato servizio in Bosnia. Quasi contemporaneamente, un’altra notizia, stavolta proveniente dalla Sardegna. Dopo il ricovero per leucemia di un volontario del 152mo Reggimento della Brigata "Sassari", già impiegato nei Balcani, un altro militare, un sottufficiale della stessa Brigata "Sassari", risulta colpito da un’affezione a carattere immunitario-istologico.
La lista dei militari malati e deceduti si allunga di ora in ora. Secondo i dati dell’Osservatorio, sono sette i militari deceduti finora per patologie tumorali, collegabili sia al lavoro "sul terreno" nei Balcani, sia al lavoro nel chiuso degli hangar per elicotteri. Sempre secondo l’Osservatorio, altri dodici sono i malati, tra gli elicotteristi e i reduci di Bosnia.
Quasi tutti i militari ammalatisi hanno già presentato la domanda per vedersi riconosciuta la "causa di servizio". Ma, dicono all’Osservatorio, molte altre sono le "segnalazioni" che arrivano da chi ha marcato visita per patologie importanti ma che non ha ancora deciso di intraprendere l’iter per il riconoscimento delle cause di servizio. Perché, secondo l’Osservatorio, dal momento in cui un militare viene ricoverato ha tempo sei mesi per "fare causa". Dopodiché deve passare un periodo medio di circa due anni durante i quali vanno avanti gli accertamenti medico-legali. E in genere, durante tutto questo tempo, il militare ammalato preferisce il silenzio. Sacrosanti diritti di privacy impediscono dunque di diffondere per esteso nomi e cognomi dei malati, reparti e Corpi di appartenenza. Anche chi decide di parlare lo fa dietro garanzia di anonimato.
Nel caso degli elicotteristi ammalatisi l’Osservatorio dice soltanto che sei di essi sono di Roma, che appartengono a vari Corpi delle Forze armate, che soffrono di vari tipi di patologie tumorali e che tutti hanno in comune una caratteristica: hanno tutti svolto lo stesso tipo di lavoro, accanto e sopra gli elicotteri, fuori e dentro gli hangar. Un legale dell’Osservatorio dice: «La scienza medica non sa ancora con certezza che cosa scatena un tumore. Ma se si verificano più casi di tumori presso uno stesso gruppo di lavoratori, ecco che allora sorge il problema della prevenzione. Si sa empiricamente che quel dato lavoro presenta dei rischi e quindi si pone il problema di adottare tutte quelle precauzioni necessarie ad annullare il rischio. Ecco, questo è il punto: tali precauzioni vengono adottate? Nessuno vuole che i militari rinuncino a fare il loro mestiere, ma bisogna che lo facciano in condizioni di sicurezza totali».
E «un
occhio di riguardo per tutti coloro che, con il loro quotidiano lavoro
in divisa, sono chiamati a garantire l’autorità dello Stato e l’autorevolezza
delle Istituzioni» ha reclamato Gianfranco Fini, durante il convegno
di Alleanza nazionale dedicato alla solidarietà alle Forze armate
e di Polizia. Secondo il leader di An «c’è bisogno di una
considerazione diversa nei confronti di chi serve lo Stato con la divisa.
Non basta uno stipendio adeguato, ma occorre ripristinare il decoro, il
rispetto per tutti quei cittadini che scelgono, tra tante professioni,
quella di garantire il rispetto della sicurezza e della libertà».
«Molte sono ancora le cose da fare e da analizzare - ha detto Filippo
Ascierto, responsabile del settore Difesa di An - Stipendi, trasferimenti,
organici e, naturalmente, le missioni di pace all’estero».