La
Spagna ha già avviato test di massa sui veterani dei Balcani. Il
Portogallo, invece, ha deciso di spedire sul luogo con la massima urgenza
un pool di esperti per verificare il livello di radioattività delle
munizioni ma di esami clinici per i 330 soldati lusitani reduci da Bosnia,
Serbia e Kosovo, per adesso, non se ne parla. L’alto comando di Lisbona
fa sapere, tuttavia, che a suo tempo la Nato garantì che non esistevano
pericoli legati all’utilizzo di proiettili rivestiti di uranio impoverito
(Du). Il caso di Hugo Paulino, giovanissimo sottufficiale, morto appena
tornato dal Kosovo, ha fatto scoppiare nel Paese l’allarme per gli effetti
devastanti della contaminazione. Insufficienza renale, nausea, febbre,
vomito furono i sintomi accusati dal militare portoghese, «tipici
di un’esposizione prolungata a dosi molto elevate di radiazioni»,
ha spiegato Manuel Abecassis, direttore della divisione di trapianti dell’Istituto
portoghese di oncologia. Un altro medico, Joao Caraca, a capo del dipartimento
di scienze della Fondazione Gulbenkian, si è detto «indignato
per l’utilizzo fatto dell’uranio dalla Nato nel cuore dell’Europa che non
infetta solo noi ma le generazioni future». Dopo forti pressioni
internazionali l’Alleanza atlantica ha dovuto riconoscere un anno dopo
l’uso in Kosovo di munizioni all’uranio impoverito, “ottime” per bucare
la corazza dei blindati quanto velenose per chi si trovi ad ingerire o
a respirare le particelle di Du prodotte dall’esplosione. Solo la scorsa
settimana, l’impiego massiccio di proiettili del genere, lanciati dagli
A/10 dell’aeronautica statunitense sulla Bosnia nel ’94 e ’95 è
stata ufficialmente ammessa dal comando alleato e poi dal ministro della
Difesa italiano Matterella. In Spagna, intanto, i primi cinquemila test
disposti dal governo di Madrid sui trentaduemila veterani di sua maestà
Juan Carlos avrebbero fornito esiti negativi ma Antena 3, televisione privata
della Capitale, continua a diffondere notizie di vari casi di malattie
legate alla permanenza in zone contaminate da uranio impoverito. Un militare
iberico, come riferisce nel numero natalizio anche il quotidiano indipendente
messicano La Jornada, sarebbe già morto ma da Madrid, il ministero
della Difesa continua a negare l’esistenza di casi di leucemia tra i suoi
effettivi. Oggi, nella regione sono duemila i militari spagnoli, metà
dei quali di stanza in Kosovo dove l’uranio impoverito è stato adoperato
in maniera ancora più massiccia che in Bosnia o nella Krajina. L’attendibilità
dei test è legata all’idoneità delle strutture sanitarie
che li effettuano e ai tempi di incubazione delle possibili patologie.
In molti Paesi, Italia compresa, non esistono centri in grado di superare
le difficoltà di determinare il rapporto isotopico di uranio 238
e 235, specialmente nelle urine. Un progetto di test è stato presentato
in settembre a Parigi dalla Società europea di medicina nucleare
ma, sulla sorte di milioni di civili e di migliaia di soldati, pesano la
scarsa sensibilità degli apparati polico-militari (gli stessi che
hanno voluto i bombardamenti) e una buona dose di norme e disposizioni
antiquate sulla determinazione delle cause di servizio. Che. Ant.