Con
l’aiuto della Russia, della Francia e del mondo arabo, l’Iraq è
riuscito a mettere fine all’embargo aereo, almeno de facto. A questo punto,
può impegnarsi nel graduale smantellamento dell’embargo dell’Onu
imposto dieci anni fa a conclusione della Guerra del Golfo, approfittando
anche del vuoto di potere negli Stati Uniti. I primi segnali di questo
sgretolamento si sono visti nelle settimane scorse, con l'apertura delle
frontiere con la Giordania e l’Arabia Saudita, attraverso le quali passano
i generi alimentari acquistati con i soldi che le Nazioni Unite danno in
cambio del petrolio iracheno. In realtà, perché l’Onu revochi
le sanzioni è necessario che Baghdad accetti l’ispezione dei suoi
arsenali, condizione che non è mai stata accettata e ancora più
difficilmente potrebbe essere accettata in futuro, ora che il regime di
Saddam è riuscito a rompere l’isolamento in cui ha vissuto per quasi
un decennio, e che ha provocato gravi disagi alla popolazione, soprattutto
a bambini e anziani. Improbabile che l’Iraq si decida ad accettare gli
ispettori in un momento in cui sta beneficiando dell’erosione delle sanzioni,
sulle quali è diviso il Consiglio di Sicurezza: Russia e Francia
sono già da tempo favorevoli a una politica di revisione dell’embargo
e hanno trascinato dalla loro parte anche numerosi Paesi europei. Di fatto,
i “falchi” sono ormai solo Stati Uniti e Gran Bretagna, anche se l’Onu
continua a insistere perché Baghdad accetti i suoi ispettori affermando
che «la leadership irachena otterrà di più attraverso
la cooperazione con la comunità internazionale». Ma in Iraq
continuano i raid anglo-americani. I jet hanno bombardato il nord del Paese,
proprio dopo la richiesta del ministro degli Esteri russo Ivanov per la
“fine immediata” dei bombardamenti alleati.