La
Fondazione Cariplo, principale fondazione europea e una delle principali
al mondo, rinnova la Commissione centrale di beneficenza, ovvero l'organo
di indirizzo. Ma la vera notizia è che tutto è avvenuto senza
scontri. In via Manin è quindi scoppiata la pace dopo la recente
battaglia in occasione delle designazioni per il vertice di Banca Intesa.
Meno di tre ore sono bastate per nominare all'unanimità i 40 componenti
del nuovo organo, completando così il lungo iter di revisione della
corporate governance. L'operazione è stata preparata da un intenso
lavoro delle diplomazie dei due schieramenti, i commissari vicini al Centrosinistra
e quelli della Casa delle Libertà. A questo punto le prossime scadenze
per il completamento dei rinnovi dei vertici della Fondazione arriveranno
nel gennaio del 2001 con la presentazione del programma del presidente,
la nomina dei nove componenti il consiglio di amministrazione, l'elezione
del presidente e dei due vicepresidenti. La nuova commissione centrale
di beneficenza, che durerà in carica per sei anni, è così
composta: Angelo Abbondio, Roberto Artoni, Giovanni Azzaretti, Yves Barsalou,
Marisa Bedoni (Comune di Milano, Lega Nord), Enzo Berlanda, Silvia Costa,
Ugo Dozzio Cagnoni (Provincia di Pavia, An/Forza Italia), Renato
Dulbecco, Mariella Enoc, Bruno Ermolli (Provincia
di Milano, Forza Italia), Elio Fontana, Marco Frey, Emilio Gabba, Lorenzo
Gaidella (Provincia di Mantova, Lega Nord), Luigi Galassi, Luca Galli (Provincia
di Varese, lega Nord), Rupert Graf Strachwitz, Beniamino Groppali (Provincia
di Cremona, Ds), Giuseppe Guzzetti (Partito popolare italiano), Ubaldo
Livolsi, Federico Manzoni, Guido Martinotti, Piercarlo Mattea (Provincia
di Lodi, Ppi), Mario Miscali (Provincia di Milano, indipendente), Mario
Romano Negri (Provincia di Lecco, Ppi), Massimo Nobili, Roberto Pancirolli,
Paolo Raineri (Provincia di Sondrio, Ppi), Virginio Rigoldi, Romeo Robiglio
(Provincia di Novara, Forza Italia), Carlo Rubbia, Carlo Sangalli (Regione
Lombardia, Forza Italia), Aldo Scarselli (Comune di Milano, Forza Italia),
Marco Spadacini (Provincia di Milano, Forza Italia), Ferdinando
Superti Furga, Graziano Tarantini, Livio Torio, Carlo Vimercati (Provincia
di Bergamo, Forza Italia), Mario Zanone Poma (Comune di Milano, Forza Italia).
Soddisfazione è stata espressa dal Presidente Guzzetti e dal Vice
presidente Carlo Sangalli. «Credo si possa essere oggi doppiamente
soddisfatti» ha sottolineato Giuseppe Guzzetti «sia perché
la Fondazione può contare su un organo di indirizzo di alto profilo,
sia perché la votazione unanime di oggi dimostra come la Fondazione,
così come è sempre accaduto nei momenti delle scelte più
significative, ha saputo esprimere la piena condivisione. Soddisfazione,
infine, perché abbiamo concluso positivamente un processo certamente
lungo e articolato, ma necessario per dare la massima e più trasparente
espressività agli enti territoriali e alla società civile,
che, per parte loro, hanno risposto con impegno e coerenza. Il rammarico,
infatti è che il processo di selezione ha dovuto necessariamente
escludere persone altrettanto degne di quelle nominate». «Non
posso che associarmi a quanto sottolineato dal Presidente» ha commentato
il vice presidente Carlo Sangalli «la fondazione Cariplo, sin dalla
sua nascita, ha rappresentato per la collettività lombarda un punto
di riferimento, ha saputo esprimere al meglio il proprio ruolo di motore
dello sviluppo civile, oltreché economico, del proprio territorio
di riferimento».
Il presidente della Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, qualche settimana fa dalle colonne del Corriere della Sera ha spiegato come sarà il futuro della creatura a cui guardano tutti i lombardi che credono nelle opere di bene. Giovanni Grottanelli de' Santi, presidente della Fondazione del Monte dei Paschi di Siena ha preso carta e penna e raccontato ai lettori del Sole 24 Ore le ragioni del suo "no" allo statuto che detta i criteri per amministrare un patrimonio di 18 mila miliardi. Sono due esempi di "capitalismo democratico": uno lombardo, ispirato ai principi del polo della finanza cattolica che ha dato vita al Gruppo Intesa; l'altro toscano, figlio del carattere dinamico e della vis polemica degli eredi della banca più antica del mondo.
E noi sardi cosa sappiamo del nuovo statuto della Fondazione del Banco di Sardegna? Nulla. Anzi, chi osa chiedere lumi su un documento fondamentale per il futuro del sistema economico dell'isola, da ieri è "ammonito". Dopo i nostri articoli sulla lacerazione che si è aperta tra la Regione e la Fondazione, in redazione è arrivata una nota stizzita che "ammoniva" per il fragore dato alla notizia. Secondo la Fondazione così si "danneggia il Banco". Evidentemente Guzzetti e Grottanelli de' Santi rispetto ai rappresentanti della Fondazione del Banco sono degli sprovveduti chiacchieroni. Loro sentono l'esigenza di informare i cittadini sui progetti, far partecipare alle decisioni che contano gli enti, le associazioni, la cosiddetta "società civile", Palmieri e i suoi consiglieri invece preferiscono amministrare la fondazione in "clausura".
Tra
gli ammoniti, naturalmente, c'è anche L'Unione Sarda che ha riportato
nelle sue pagine economiche i retroscena di una guerra che vede contrapposti
i disegni di chi guida il gruppo Banco di Sardegna e le aspettative del
sistema delle imprese. La cosa non ci preoccupa, questo giornale è
nato nel 1889, ha centodieci anni di vita e ha già visto il Banco
nascere e crescere. E non vorremmo assistere alla sua caduta. La partita
che si gioca intorno alla seconda azienda dell'isola (in realtà
è la prima perché la Saras di Moratti non è certo
un'azienda nata con capitali sardi) è vitale e la Fondazione è
chiamata a essere trasparente e democratica. Scrivere o chiedere come ha
fatto l'intero consiglio regionale chiarimenti sul futuro di questa impresa
è fondamentale. Sono in gioco i posti di lavoro dei dipendenti del
Banco, l'autonomia del credito, la sopravvivenza di migliaia di imprese
che a questo devono accedere con facilità. Cedere il venti per cento
del capitale a un grande gruppo bancario significa - di fatto - sventolare
bandiera bianca e affidare le nostre sorti a centri di potere lontani dalla
nostra terra e dalla nostra cultura. Affidare a una trattativa privata
la dismissione di un pacchetto di azioni, vuol dire fare un passo indietro
nei confronti di quel mercato che guarda alla Borsa come il posto naturale
dove si incontrano la domanda e l'offerta di progetti e idee che creano
ricchezza. Un azionista che lascia al suo
posto un consiglio d'amministrazione che ha chiuso l'ultimo bilancio con
127 miliardi di deficit e presentato una semestrale in rosso per 80 miliardi
non dà un buon esempio di gestione manageriale. Nel mercato chi
sbaglia paga. Al Banco di Sardegna questa regola non vale.