"Il
Giorno", 21 marzo 1996
La
coraggiosa testimonianza di Luigi Pagano a un convegno sui diritti umani
negati
E
il direttore disse: San Vittore, realtà vergognosa
di
BETTI FILIPPINI
Per
chi già non lo conosceva - tra i 250 studenti e professori che affollavano
ieri la sala conferenze di Scienze politiche - I'incontro con Luigi Pagano,
direttore di San Vittore, dev'essere stato quasi da choc. Di certo uno
che si autodefinisce «carceriere» e poi se ne esce con frasi
come "la carcerazione potrà essere giudicata necessaria, ma non
sarà mai autenticamente giusta, e la nostra coscienza non sarà
tranquilla finchè anche un solo uomo sarà imprigionato",
è destinato a lasciare un segno positivo anche nell'interlocutore
più distratto. E dunque bene hanno fatto gli organizzatori del ciclo
di conferenze "I diritti umani nel mondo contemporaneo" a invitare il dottor
Pagano: una testimonianza preziosa, la sua, per capire come i casi di diritti
violati non sono confinati solo nel "barbaro" sud del mondo, ma sopravvivono,
nella disattenzione generale, anche nel cuore della «civilissima»
Milano. I numeri, del resto, parlano da soli: pensata per 700 detenuti
nel 1879, ora la struttura di piazza Filangieri oscilla tra i 2200 e i
2450 «ospiti». Il che significa 10, 12 persone costrette in
12 metri quadrati - in rapporto un uomo, un metro - dove otto dormono in
brande a castello di 4 piani e gli altri, a turno, su materassi buttati
in terra. La situazione è tale che gli ispettori del consiglio d'Europa,
in visita nel '92, definirono la sovrappopolazione «oltraggiosa»
e «deplorevole». Va da sè che le «rapide soluzioni»
auspicate 4 anni fa - sottolinea però Pagano - sono rimaste lettera
morta. Il problema è il sovraffollamento? Costruiamo nuove carceri,
potrebbe pensare qualcuno. Di sicuro non Pagano, che alza il tiro quando
ricorda che «il carcere è un artificio innaturale, che non
si adatta all'essere umano: anche il detenuto "modello" non sfugge agli
effetti negativi della sindrome di prisonizzazione, dell'annullamento di
sè, della stigmatizzazione sociale.E poi c'è la riforma carceraria,
che «ha introdotto il principio del trattamento rieducativo, del
reinserimento sociale». Un punto che sta molto a cuore a Pagano:
«Sarebbe ipocrita se noi, nelle 4 mura, riparassimo guasti: anche
Frankenstein ci provò, e sappiamo com'è andata...».
Dietro al «trattamento», dunque, dev'esserci partecipazione,
apertura del carcere al mondo esterno, creazione di un sistema di relazioni.
Ma per raggiungere ciò «è necessaria un'adesione delle
altre istituzioni dello Stato, dal Comune agli enti locali, che ci è
mancata...». Denuncia per denuncia, Pagano ricorda come «A
San Vittore è passata buona parte della prima Repubblica, quasi
tutti avrebbero potuto cambiare la vergogna delle carceri. Non lo hanno
fatto». «E ricordate tre anni fa, quando i giornali titolavano
"Metteremo i tossicodipendenti fuori dalle galere?". Non ne è uscito
uno, e le carceri si sono trasformate in servizi sociali, che ospitano
extracomunitari, drogati, barboni».