Anche se i tempi stretti che restano a disposizione di questa XIII legislatura fanno ritenere quasi utopistica una riforma della legge elettorale è doveroso rilevare che il non farla significa venir meno alla indicazione data dall’ultimo referendum.
La proposta di generalizzare il sistema maggioritario, togliendo il venticinque per cento di rappresentanza proporzionale oggi vigente è stata raccolta dagli italiani, che hanno condiviso la tesi per così dire pluralistica che era stata assunta da un ampio schieramento che denunciava la pericolosa sterilità del bipolarismo, oltretutto avvilito da continui passaggi di parlamentari da un gruppo all’altro in corso di legislatura.
Ad evitare equivoci si ricorderà che l’anno scorso lo stesso referendum non aveva raggiunto la partecipazione prescritta, ma per una piccola frazione di cittadini. Questa volta invece solo il 32 per cento hanno votato e il messaggio è chiarissimo. La battaglia per la proporzionale comunque continuerà, sostenuta con vigore anche dalla Fondazione che viene lanciata da Sergio D’Antoni, non a caso richiamando la lunga marcia di Luigi Sturzo per affrancare l’Italia dal particolarismo dei piccoli e grandi potentati. Purtroppo — insieme ad altri illuminati democratici — impiegarono troppi anni per arrivare al successo; e lo conseguirono quando il tessuto nazionale era logorato dalla guerra e dai movimenti rivoluzionari comunisti che stavano per esplodere.
Alla ripresa democratica, caduto il fascismo, spontaneo fu il ritorno alla proporzionale che assicurò una lunga stagione costruttiva, dando modo anche alle opposizioni di evolversi democraticamente. [NDR: votavano proprio tutti, anche i morti]
Nel clima creato dalla improvvisa caduta del muro di Berlino e dalle varie talpe dell’ordine democratico ci fu l’ubriacatura maggioritaria invocando presunti paradisi terrestri elettorali di stampo americano. Le semplificazioni di pura apparenza sono le più pericolose. Si disse che bisognava ridurre il numero dei partiti e assicurare la governabilità. E si crearono così due grandi coalizioni tattiche per attirare voti e sottrarli al blocco antagonista. Sta di fatto che i partiti sono più numerosi di prima, con la differenza che non si parla più di programmi e di progetti. Forse a suscitare qualche riflessione sull’americanismo giovano le squallide vicende in corso laggiù. La potenza tecnologicamente più avanzata dimostra di aver perduto dimestichezza con il pallottoliere.
Sturzo
scrisse dall’esilio un articolo significativo nel giornale di Gobetti:
«Ritorno alla proporzionale». E così deve essere, almeno
da questa parte dell’Oceano.