23 dicembre 2000
Unione Sarda
Crisi diplomatica sui militari contagiati dopo la missione nei Balcani
La Nato smentisce Mattarella
«L’Italia sapeva dei raid aerei all’uranio»
http://www.unionesarda.it/unione/2000/23-12-00/CRONACA%20REGIONALE/FAT01/index.html

«L’utilizzo dei proiettili all’uranio impoverito in Bosnia e Kosovo non è un segreto da anni». Nel giorno in cui da Spagna e Portogallo arrivano segnalazioni di altri tre casi sospetti e di due militari impegnati nelle missioni di pace morti di leucemia, la Nato smentisce il ministro della Difesa Sergio Mattarella. «L’Italia era stata informata sin dal 1995, ma il problema è riemerso solo di recente». Intanto è stata archiviata l’inchiesta sui medici che hanno curato il caporale di Nuxis Salvatore Vacca, morto lo scorso anno di leucemia.

I portavoce smentiscono il ministro della Difesa e confermano l’uso di proiettili all’uranio impoverito
La Nato: l’Italia è stata informata
Altri tre casi sospetti e due morti in Spagna e Portogallo
 
Roma La linea della Nato non cambia: i portavoce dell’Alleanza non commentano le parole di Sergio Mattarella secondo cui l’Italia sarebbe stata informata in ritardo sull’uso dell’uranio in Bosnia. Ma alcune fonti della stessa Nato esprimono «sorpresa» perché «l’utilizzo dei proiettili in quelle operazioni non è un segreto da anni». Le stesse fonti hanno lanciato un’ipotesi: le informazioni sull’uso di proiettili all’uranio impoverito potrebbero non aver compiuto a suo tempo in Italia l’intero percorso dai livelli militari ai responsabili politici. «Ma c’è differenza tra il non essere a conoscenza di certe cose e un deliberato tentativo di nasconderle in sede Nato, cosa che non è avvenuta». Una spiegazione plausibile è che la questione sanitaria, diventata rilevante solo di recente dopo la scoperta dei casi di leucemia tra i soldati italiani, non era tale nel 1995. E che certi dati, pur disponibili, siano stati ritenuti più di carattere tecnico che di natura tale da richiedere un’informativa dettagliata lungo il circuito militari-politici. «All’epoca della Bosnia il tema era molto meno controverso ed è finito sotto la luce dei riflettori durante la guerra del Kosovo. Il problema sanitario in Italia non è emerso fino a tempi molto recenti. È dunque possibile che al tempo i livelli superiori non siano stati informati dai militari». Un’ipotesi che viene indirettamente confermata anche dal predecessore di Mattarella al ministero della Difesa, Carlo Scognamiglio. «Sull’uso dei proiettili all’uranio impoverito in Bosnia non sapevo nulla». La questione, intanto, tocca anche altri Paesi. In Spagna il canale privato Antena 3 ha parlato di due militari reduci dal Kosovo colpiti dalla leucemia. Uno è morto nel mese di ottobre, l’altro è malato. Caso sospetto anche in Portogallo dove ieri i giornali hanno parlato della vicenda di Hugo Paulino, reduce del Kosovo morto per leucemia a marzo. Lisbona invierà in Kosovo una missione di esperti che valuteranno con il massimo rigore scientifico le possibili conseguenze delle radiazioni. In Italia procede l’inchiesta avviata dalla procura militare di Roma, ma non ci sono ancora indagati. Mauro Paissan, deputato verde, accusa i militari di tradimento perché «avrebbero nascosto ai politici la verità sui proiettili Nato all’uranio impoverito». Secondo Falco Accame, «le tre missioni con armi all’uranio in Bosnia non potevano restare ignote ne in ambito comando interforze, ne per i servizi segreti di Forza armata, ne per le squadre di decontaminazione».

In attesa che la commissione nominata da Materassa inizi a lavorare, prosegue il dibattito scientifico. Secondo un componenti della commissione scientifica, Giuseppe Onufrio, è improbabile che l’uranio sia causa di leucemie fulminanti. «Andrebbe esplorato come una concausa insieme ad agenti tossici e cancerogeni da sorgenti industriali o armamenti chimici o di deficit del sistema immunitario causati da plurivaccinazioni». Dichiarazioni tranquillizzanti anche da una fonte di Shape, il comando della Nato a Mons, secondo cui «sulla base dell’attuale stato della ricerca, è virtualmente impossibile inalare una quantità di particelle di uranio impoverito tali da rappresentare un rischio per la salute».



Serrenti scrive a Mattarella: il ministro ha mentito ai sardi

«Superficiale e lesivo degli interessi della popolazione». Con queste parole il presidente del Consiglio regionale della Sardegna, Efisio Serrenti, ha definito l’atteggiamento del ministro della Difesa nella vicenda dei casi di leucemia che sarebbero stati riscontrati in alcuni militari al rientro dalle missioni in Bosnia e Kosovo. «Le ammissione da lei fatte davanti alla commissione Difesa della Camera», ha scritto il presidente Serrenti a Sergio Mattarella «mi inducono a ritenere che quanto affermato nella sua lettera del 3 ottobre 2000, inviatami in risposta alla mia richiesta di notizie, era solo parzialmente rispondente alla vera situazione sanitaria in cui lavoravano i militari sardi. Dal punto di vista istituzionale ritengo che le risposte parziali da lei fornite sulla vicenda e il silenzio sulla mia richiesta di partire per il Kosovo con una delegazione del Consiglio regionale per rendermi personalmente conto delle condizioni in cui lavoravano i militari della Brigata Sassari siano un atto gravissimo e fortemente lesivo degli interessi non solo del Consiglio regionale della Sardegna ma anche di tutti i sardi».



Nessun contaminato tra gli albanesi del Kosovo

Le notizie diffuse in Italia sui rischi di contaminazione per i proiettili all’uranio impoverito impiegati durante i bombardamenti della Nato, non sembrano impensierire gli albanesi del Kosovo. La stampa locale, solitamente sensibile alle denunce lanciate dai media internazionali, continua a ignorare l’argomento, eppure le zone di confine lungo le quali sono stati impiegati i proiettili teoricamente contaminanti sono popolate e talvolta densamente. Nella fascia indicata dalla Nato ricadono tre fra le più importanti città del Kosovo: Pec e Djakovica, sotto il controllo dei soldati italiani della Kfor, e Prizren, sotto il controllo del contingente tedesco. In totale oltre 300mila persone. Rassicuranti le autorità sanitarie locali. «Dalla fine del conflitto non abbiamo registrato alcun caso di paziente che presenti sintomi da sospetta contaminazione radioattiva», ha detto Pleurat Sejdiu, coodirettore del Dipartimento per la sanità della missione delle Nazioni Unite a Pristina. «Nessun ricovero sospetto» confermano all’ospedale di Pec. Ma se c’è rischio per i soldati non dovrebbe esserci ancora di più per la popolazione civile che vive giorno e notte nelle aree colpite dai proiettili all’uranio?



Archiviata l’inchiesta sulle cure dei medici al caporale di Nuxis

Nuxis Una delle inchieste aperte dalla magistratura sulla morte del caporalmaggiore di Nuxis Salvatore Vacca è già sfociata in un nulla di fatto. Si tratta dell’indagine sollecitata dai familiari del giovane per accertare se ci sono state responsabilità nella morte dei giovane soldato attribuibili ai medici e ai vari ospedali. Sono le strutture che si sono occupate di Salvatore Vacca dal momento in cui ha incominciato ad accusare i primi sintomi del male che lo ha poi portato alla tomba.

Ebbene l’inchiesta sul fronte della responsabilità dei medici è stata archiviata. Non sarebbero emersi, infatti, elementi tali da giustificare ulteriori indagini. A rivelarlo è stato l’avvocato Bernardo Aste, il legale dei familiari di Salvatore Vacca. L’avvocato Aste non ha comunque escluso che, se dovessero emergere nuovi elementi, l’inchiesta possa essere riaperta.

I familiari di Salvatore Vacca, però, continuano a puntare l’indice contro i medici. «Se la leucemia fosse stata diagnosticata in tempo mio figlio si sarebbe potuto salvare», dichiara la madre Giuseppina Secci. La quale rimarca come Salvatore sia stato sballottato da un ospedale all’altro con diagnosi le più diverse. «Purtroppo hanno scoperto che aveva la leucemia quasi sei mesi dopo il primo ricovero in ospedale, troppo tardi perché fosse possibile salvargli la vita», aggiunge la madre del caporale di Nuxis.

I parenti di Salvatore vacca sono comunque determinati a conoscere la verità. E ora che anche il Governo è costretto a fare le prime ammissioni sull’uso dei proiettili con uranio impoverito nei territori della ex Jugoslavia, i loro sospetti sul fatto che ci sia un collegamento tra la morte di Salvatore e la sua partecipazione alla missione di pace in Bosnia si rafforzano.

«Quello che non sopportiamo è che sulla morte di Salvatore sia stato calato un velo di silenzio», denuncia il padre Peppuccio Vacca, maresciallo dei carabinieri in pensione. Quello che i parenti del caporalmaggiore di Nuxis non sopportano è che con loro lo Stato si sia dimostrato del tutto assente. Ancora Peppuccio Vacca: «Nel caso di Andrea Antonacci, (il sergente di Lecce morto anche lui per leucemia dopo una missione in Bosnia, ndr) sappiano che i familiari hanno ricevuto la visita di un sottosegretario e che hanno ottenuto il riconoscimento della causa di servizio. Per noi, invece, neppure una parola».

Ma Peppuccio Vacca e Giuseppina Secci non si arrendono. «Vogliamo essere risarciti per i danni materiali e morali derivati dalla morte di Salvatore: è l’unico modo per ottenere giustizia e vendicare in un certo qual modo la scomparsa di nostro figlio», aggiunge Giuseppina Secci.

I familiari del militare di Nuxis confidano comunque nell’inchiesta avviata dalla Procura di Cagliari anche se continuano ad essere contrari alla riesumazione del corpo di Salvatore per effettuare nuovi esami e ulteriori perizie.

Sandro Mantega



Sindrome del Golfo: 200 mila vittime

Roma Sono oltre 200 mila, tra americani, francesi, canadesi e belgi, i militari colpiti dalla sindrome del Golfo. E nell’Iraq del Sud si registra un aumento del 350% annuo di leucemie, cataratte, tumori, deficienze immunitarie e malformazioni». A sosterlo è padre Jean Marie Benjamin, che da anni raccoglie dati sulla questione uranio. Padre Benjamin ricorda anche che il 29 settembre del 1999, la commissione Affari esteri della Camera ha approvato una risoluzione che impegnava il governo a istituire una commissione tecnico-scientifica, chiedere al governo degli Stati Uniti di mettere a disposizione della stessa commissione le informative sull’utilizzo delle armi all’uranio, e proporre la costituzione di una commissione europea. «Nonostante gli impegni presi si sono aspettati i primi morti prima di costituire la commissione».

E l’11 gennaio, alle 23, su Rai3, andrà in onda il documentario di Alberto D’Onofrio “La Sindrome del Golfo”, sulle malattie che hanno colpito i militari degli Stati Uniti durante e dopo la guerra. «La tesi del documentario è tristemente confermata dalle notizie delle morti di leucemia di alcuni soldati italiani impegnati in Bosnia e nel Kosovo. Il film», spiega D’Onofrio «è pronto praticamente da quattro anni, ma non è stato mai trasmesso per scelta editoriale. Ora, evidentemente, visto l’interesse che la materia sta suscitando anche in Italia, si è finalmente deciso di trasmetterlo».

Il documentario - afferma l’autore e regista - mostra le conseguenze della malattia che ha colpito 100 mila soldati americani sui 700 mila spediti nella guerra del Golfo: 10.000 sono già morti per diverse malattie (leucemia, cancro, tumori di vario genere)». Nelle loro testimonianze, numerosi reduci sostengono che la “Sindrome del Golfo” è stata causata «dall’uso di armi chimiche e batteriologiche, da pallottole e bombe all’uranio impoverito e da una miscela di vaccini che viene somministrata ai soldati per difendersi da agenti chimici e batteriologici». Il documentario è stato girato nell’arco di 8 mesi tra California, Nuovo Messico, Washington e Tennessee. Intervengono veterani ammalati, i figli (alcuni dei quali nati con gravissime deformazioni), parenti dei soldati, che affermano di essere stati contagiati, cosi come una infermiera che ha curato reduci contaminati. Il film è stato già proiettato in 130 città italiane all’interno di Università, centri sociali e circoli culturali . «Spero che il mio documentario», afferma D’Onofrio «possa fornire preziosi elementi di informazione e favorisca l’apertura di un ampio dibattito su un grave problema che riguarda militari e civili di tutto il mondo, cioè l’uso delle armi chimiche e batteriologiche e della contaminazione che ne deriva».



Commento: Mattarella si arrampica sugli specchi pur di non ammettere l'errore. La nostra denuncia del luglio 1999 parlava chiaro. Ma la Procura di Milano ci disse: "Non abbiamo mezzi sufficienti...". Come al solito, pagano le vittime e le loro famiglie.