10.10.2000
A proteggere il seno ci rimette l’utero
SOURCE: http://www.tempomedico.it/news00/679tamo.htm
TAMOSSIFENE SOTTO ACCUSA PER LE DONNE SANE

box: Le vie del pericolo sono ancora oscure

Ancora una battuta d'arresto per il tamossifene. Dopo l'allarme lanciato l'anno scorso dalle pagine del Journal of the National Cancer Institute da Mitchell Gail (vedi Tempo Medico numero 651, pagina 4), uno studio olandese conferma l'esistenza di un aumento netto del rischio di cancro all'endometrio nelle donne che assumono il farmaco a lungo termine per un tumore della mammella. Lo studio riassume i dati ottenuti paragonando circa 300 donne che avevano sviluppato una neoplasia uterina dopo essere state malate di cancro mammario a quasi 900 pazienti con tumore della mammella, ma con un utero sano. La prima diagnosi risaliva almeno al 1976, anno in cui la maggior parte dei centri olandesi ha iniziato a proporre l'uso del tamossifene.

I risultati parlano chiaro: il rischio di sviluppare un cancro all'utero per chi ha fatto uso di tamossifene è in media di 1,5 volte superiore a quello di chi non ne ha mai assunto, e aumenta in maniera progressiva con la durata del trattamento. Infatti, chi si è sottoposto alla terapia per più di cinque anni vede crescere di circa sette volte la probabilità di avere una neoplasia uterina.

L'osservazione più preoccupante è però un'altra: i tumori che si sviluppano nelle donne trattate con il tamossifene per un tempo prolungato sono spesso più maligni e invasivi, vengono riconosciuti in fase avanzata, inquadrati allo stadio III e IV della classificazione ufficiale, e presentano anche un'alta percentuale di sarcomi e di tumori mesodermici misti maligni (MMMT), molto difficili da curare. Tutto questo comporta una diminuzione della sopravvivenza. «Anche se i numeri sono piccoli, la statistica conferma che c'è differenza tra chi ha seguìto la terapia e chi non l'ha mai assunta» commenta Liesbeth Bergman, epidemiologa dell'Istituto dei tumori olandese e coordinatrice dello studio. «Inoltre, il nostro studio contraddice ciò che si pensava finora, e cioè che il tamossifene tendesse ad aumentare il rischio di tumori uterini, ma che questi fossero per lo più di un tipo istologico a prognosi più favorevole».

Il tamossifene viene impiegato nella terapia del tumore mammario a vari stadi (metastatico e non) con ottimi risultati da diversi anni. Anche il suo ruolo nella chemioprevenzione di recidive è ben documentato. Un grande trial clinico (Breast Cancer Prevention Trial, BCPT) durato cinque anni ha studiato l'effetto della molecola su circa 6.000 donne sane ad alto rischio di cancro alla mammella, ed è terminato un paio di anni fa, concludendo che il suo utilizzo all'incirca dimezza l'incidenza di tumore mammario. Lo studio del 1999 a cura di Mitchell Gail, che aveva partecipato a un workshop sul BCPT ai National Cancer Institutes di Bethesda, aveva già dimostrato come il farmaco, nonostante l'indiscutibile efficacia nel prevenire il cancro mammario, presentasse effetti collaterali molto gravi, quali tumori endometriali, ma anche ictus ed embolia polmonare. Per questo motivo, secondo Gail, andava proposto solo a donne ad alto rischio.

E' interessante notare come il pericolo di sviluppare un tumore uterino aumenti con l'aumento della durata del trattamento, mentre sembra essere indipendente dalla dose di farmaco assunta ogni giorno. Per di più, non è modificato nemmeno da altri fattori di rischio noti quali il sovrappeso, l'obesità, o l'assunzione di terapia ormonale sostitutiva per la menopausa. Inoltre, l'intervallo tra la sospensione della terapia e l'insorgenza della malattia non ha alcuna influenza, quasi a dimostrazione del fatto che il rischio, potenzialmente, non finisce mai. La ginecologa sottolinea comunque come solo il cinque per cento dei casi arruolati nello studio avesse interrotto la terapia da più di due anni. «La maggior parte delle donne esaminate ha sviluppato un tumore endometriale mentre era in trattamento o entro sei mesi dalla sua sospensione. E' necessario quindi studiare come cambia il rischio nel tempo dopo l'interruzione del farmaco, soprattutto perché è possibile che l'effetto dell'ormone possa durare a lungo» conclude la ricercatrice.

Il commento che accompagna l'articolo della Bergman, a cura di Karen Gelmon, della British Columbia Cancer Agency di Vancouver, in Canada, individua alcuni punti deboli dello studio olandese, sui quali si dovrà concentrare la ricerca futura. Uno di questi è il fatto che lo studio ha avuto inizio circa 25 anni fa, quando non era ancora nota l'associazione del tamossifene con i tumori uterini. Il grande numero di casi di neoplasie ad alta malignità potrebbe essere pertanto imputabile a un ritardo nella diagnosi, che oggi si verifica molto meno spesso grazie alla consapevolezza maggiore degli oncologi nei confronti di questo rischio.

In ogni caso, sia la Bergman sia la Gelmon concludono affermando che l'uso del tamossifene per trattare donne con pregresso tumore mammario non è in discussione, visto che i benefici che se ne ricavano sono senz'altro maggiori dei rischi a cui si espongono le malate. E' invece auspicabile una maggiore cautela nella prescrizione di tamossifene a donne sane, almeno fino a quando i suoi effetti non siano stati chiariti o fino a quando non sia disponibile un nuovo farmaco più sicuro.

Marina Castellano
(su "Tempo Medico" (n. 679 del 11 ottobre 2000)



Nota: bisogna avvertire Veronesi che sta "trattando" 40.000 donne con il Tamoxifene!!! Sottotitolo: malati di mente davano potente cancerogeno a donne sane. Sottosottotitolo: chissà se i Carabinieri, nei ritagli di tempo in cui tengono aggiornato un dossier illegale di 70 milioni di pratiche, troveranno anche il tempo per arrestare questi delinquenti?