14° CAPITOLO - La Rotazione dei dirigenti)

Si sa bene che i posti di comando allettano ogni uomo, ma sappiamo anche che può diventare un po' come la scarpa vecchia che più diventa vecchia e meglio calza. Un carcere, per certi versi può benissimo diventara una scarpa, se non proprio comoda, almeno conveniente.

Un carcere che ha una capienza di cinquecento - seicento detenuti, si può benissimo considerare un piccolo paese, ma se aggiungiamo anche gli agenti di custodia e tutti gli operatori, volontari e non, con tutti i vincoli burocratici che gestisce il movimento fisico e amministrativo di tutti, si può benissimo immaginare come, anche la più elastica delle persone, si veda costretta ad adottare un "regime" (nel senso buono) per controllare il tutto, ma anche, bisogna dirlo, per una forma di autodifesa da eventuali siluri da parte di chi egli stesso comanda, come succede d'altronde in tutte le gerarchie militari o civili che siano. Ma non bisogna però escludere che, ogni regime, di qualsiasi forma esso sia, crea delle disparità di trattamento, delle piccole o grandi ingiustizie, delle carenze affettive, delle gelosie ed invidie. Ma anche delle vere e proprie persecuzioni nei confronti di chi non vuole o non riesce ad alinearsi alla prassi del regime a cui è sottoposto, e francamente, forse il carcere offre uno dei peggiori regimi a cui l'essere umano debba uniformarsi.

Quindi, a mio modesto parere, credo che applicare la rotazione dei dirigenti prima di tutto, ma anche nei confronti di chi svolge mansioni di: dirigente sanitario, ragioneria, cappellano, educatore, psicologo, assistente sociale, personale di sorveglianza con particolari mansioni, per es. cucine, lavanderie, magazzini, e con compiti di infermieri assistenti, spesso assegnati per diversi anni in modo fisso?

Stessa cosa si può dire per gli agenti assegnati agli uffici dei conti correnti detenuti, agenti del sopravvitto, e le stesse ditte appaltatrici, anche se i contratti di questi ultimi hanno una validità di quattro anni, troppo lunghi, a mio parere, per non permettere che non si instauri un rapporto solido tra le parti interessate. Queste sono molto abili a portare avanti i loro affarucci, attraverso una rete ben collaudata di impliciti consensi. Per questo, "Tangentopoli" ci ha detto a chiare lettere quanto siamo bravi noi italiani!

Questo nelle carceri è ancora possibile perché, purtoppo, il detenuto è troppo indifeso e vulnerabile per denunciare fatti di rilevanza penale, ma inoltre è anche condizionato per mentalità, ignoranza delle leggi, non assistenza degli stessi legali che magari lo difendono per il processo che lo tiene detenuto, e per la paura (umana) di ritorsioni, anche, magari, solo psicologiche.

Ciò che più mi manda in bestia è quando penso che io, detenuto, debbo aver paura di denunciare alla legge un uomo di legge, che dovrebbe insegnarmi ad essere osservante della legge!

E dopo ciò, sarei ancora io il delinquente?