5° CAPITOLO Assistenza materiale a chi non ha famiglia o non può permetterselo

Il detenuto, normalmente, è in carcere perché ha commesso un reato, o comunque è accusato di averlo commesso. Resta il fatto che non vive di rendita, e che in genere non possiede grosse possibilità finanziarie.

Di solito già dal momento dell'arresto ha bisogno che i familiari intervengano per mantenerlo per le spese legali. Questo già è uno dei fattori che comincia a far raffreddare i rapporti tra i congiunti, anche se il detenuto, logicamente non ne parla con i compagni di Pena, ma certamente ne succedono di tutti i colori come in qualsiasi nucleo libero.

Un detenuto, per vivere decorosamente, esclusi gli abiti e la biancheria necessita di almeno cinquecentomila lire al mese: corrispondenza, sigarette, sopravvitto per compensare l'alimentazione quasi sempre insufficiente e scadente dell'amministrazione penitenziaria. Basti pensare che il Ministero di grazia e giustizia paga all'impresa del vitto 3140 lire procapite per la prima colazione, il pranzo e la cena. E' un dramma, per il detenuto che è solo. Nelle carceri moderne non esiste più la solidarietà dell'altra generazione che si divideva anche il fiammifero.

Anche quelli che appartengono a quell'altra generazione (almeno la maggior parte) hanno dimenticato, o almeno fanno finta di averlo dimenticato, come ci si comportava genericamente fino a dieci anni fa; ma ciò forse accade anche a causa del frazionamento dei gruppi. Ogni sezione è popolata da trenta ad un massimo di cinquanta rersone, eppure sembra di vivere in almeno dieci gruppi diversi; chi possiede, cerca di coalizzare con quello che possiede e così via a scalare, poi c'è quello che non parla con quell'altro, e c'è chi senza farlo notare s'informa dell'altro di quanto possiede per capire se gli conviene fargli un'attenzione o se creare una cella per starci assieme.

C'è quello che ha maggiori possibilità e le fa notare, ma non aiuta, nessuno, anzi, se può sfrutta ogni attenzione di cortesia, c'è quello invece che gli arriva sporadicamente un vaglia e lo brucia in pochi giorni offrendo tutto a tutti già sapendo che da domani chiederà tutto a tutti.

Infine, quello che è solo, non riceve pacchi o vaglia e magari non è nelle condizioni di svolgere un qualsiasi lavoro, o perché è malato o perché non c'è lavoro disponibile; per questi comincia il vero dramma, sia che stia in cella da solo, sia che stia in compagnia. Non c'è bisogno di scrivere una tesi sull'assoggettamento dell'uomo, ma tutti sappiamo quanto sia triste, specialmente quando ad uno di questi gli viene detto: ma perché non smetti di fumare? Un po' come dire al drogato: ma perché non smetti di drogarti? Nelle carceri penali, cioè le carceri dove vengono assegnati quelli con pene definitive superiori ai tre anni, esistono più possibilità di lavorare, invece nelle carceri giudiziarie, che sono quelle dove si permane almeno sino al giudizio di primo grado, sono di molto inferiori poiché le possibilità si riducono alle attività di pulizie, cucina, barberia e scrivano spesino.

Nelle carceri penali, le direzioni consentono che il detenuto svolga hobby o attività di piccolo artigianato: fabbricazione di scialli in lana, modellismo, pittura, ecc. Queste attività, mentre occupano il detenuto, gli permettono anche di poter guadagnare dei soldi vendendo la varia oggettistica e quindi evitare l'odioso assoggettamento che non proviene solo da parte dei compagni di pena, ma anche da parte del personale del penitenziario. Per esempio: proporti un determinato tipo di lavoro nel modo e nel tempo che più gli aggrada.

L'Ordinamento Penitenziario prevede che non si attuino discriminazioni nei confronti dei detenuti assegnando posti di lavoro o autorizzando la frequentazione di corsi professionali, scuola, e manifestazioni sportive e culturali; di solito in tutte le ultime attività non succede, ma nell'assegnazione dei posti di lavoro, non esiste alcuna graduatoria che garantisca il detenuto nell'accesso al lavoro. Nelle carceri giudiziarie, pur se in misura ridotta ed a seconda delle idee del direttore, è possibile svolgere le stesse attività anzidette anche se si è impediti nell'attrezzatura (ritenuta pericolosa), e dallo stato d'animo che è sempre in continua agitazione per gli eventi giudiziari che si rincorrono. Ancora più difficile è vivere (nel senso di coltivare qualche hobby) nelle sezioni differenziate (alta sorveglianza) dove a stento e consentito tenere un tagliaunghie.

In queste sezioni sono rinchiusi i detenuti imputati di reati associativi di stampo mafioso (Art. 416 bis), associa,zione ai fini di traffico ingente di stupefacenti (Art. 74 legge 309/9O), sequestro di persona (Art. 630 del codice penale).

Ma in effetti tutta questa pericolosità è paventata solo dalla volontà di una parte della magistratura che vuole mantenere alta la tensione nell'opinione pubblica per giustificare la prassi coercitiva di massa, come si è potuto vedere dal sette Agosto del '92 con l'emanazione del decreto SCOTTI-MARTELLI già decaduto "formalmente" il sette Agosto '95, ma che di fatto è ancora operativo almeno a Bologna che non capisco cosa c'entra con la così detta mafia.

Unico riferimento con l'esterno in queste sezioni differenziate di Bologna è la visita settimanale di Suor Teresa Lovato e Don Mario Fini (dal quindici Ottobre '95 parroco di Ponte Ronca - Prov. di Bologna) che ogni Martedì pomeriggio, da due anni, guidano un gruppo di detenuti per lo studio del Vangelo.

Sono due persone eccezionali che farebbero qualunque cosa per vederci redenti, liberi, e senza problemi, ma sono tanto poveri dal lato finanziario che soffrono per la loro impotenza di fronte alle varie necessità di molti detenuti.

Secondo me, tentano con umiltà di chiedere aiuti materiali per alcuni di noi ma non sono sempre ascoltati.

Spero comunque che la loro coerenza nel portare avanti il loro progetto di fede e solidarietà, col tempo venga premiato e siano messi in condizione di poter intervenire anche materialmente nei confronti dei detenuti indigenti.