Quotidiano.net, 7 gennaio
I militari in Kosovo chiedono visite mediche
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FORLI', 5 GENNAIO - "Al nostro rientro in Italia chiediamo di essere sottoposti ad accurate visite specialistiche". E' questo che preme ai soldati del "66° Reggimento Trieste", con sede alla caserma De Gennaro di Forlì, impegnati nella missione Joint Guardian in Kosovo. La richiesta è stata formulata dai fanti appena due giorni fa all'on. Sauro Sedioli, durante un suo breve viaggio nelle zone operative degli uomini con le stellette partiti dalla caserma forlivese.

La polemica scoppiata in Italia dopo le morti sospette di alcuni militari, che potrebbero essere collegate alle munizioni all'uranio impoverito, è rimbalzata anche nelle aree di intervento della missione internazionale. "I nostri soldati sono informati di quello che sta accadendo in Italia, guardano la tivù, sono preoccupati, ma soprattutto per le loro famiglie a causa delle voci che si diffondono. Non sottovalutano il problema, ma neppure lo esagerano. Soprattutto chiedono risposte certe alla scienza e mostrano sfiducia verso le polemiche politiche".

Questa l'impressione ricevuta da Sedioli dal colloquio con i fanti del "Trieste", che si sono espressi con franchezza, nel corso di un incontro svolto in assenza dei superiori. Non risulta che nessuno abbia chiesto il rientro anticipato (i primi soldati dovrebbero tornare in Italia a partire da metà febbraio). "Ma non ho visto alcun atteggiamento di sprezzo del pericolo, alla Rambo insomma", continua il deputato diessino, appena rientrato a Forlì dopo la puntata oltre Adriatico.

Il contingente forlivese, comandato dal col.Luigi Francavilla, fa parte della Brigata multinazionale Ovest, composta di 5960 uomini, per la maggioranza italiani. I primi fanti hanno lasciato la caserma di Forlì alla fine di settembre, e ora il reggimento è assai nutrito: 600 uomini, due terzi dei quali hanno residenza proprio nella caserma di viale Roma, essendo volontari e non soldati di leva. La loro base in questi mesi è l'ex fabbrica dell'industria automobilistica "Zastava" di Pec, nel Nordovest del Kosovo, nei pressi del confine col Montenegro. La sorveglianza di due valichi è appunto uno dei compiti - delicati e impegnativi - che spettano al Reggimento di Forlì, che deve anche assicurare la mobilità delle varie etnie sul territorio, la difesa di una piccola enclave serba e del monastero del patriarcato serbo-ortodosso di Pec.

"E' un lavoro molto duro, ma ho trovato molta responsabilità e umanità - sostiene l'ex sindaco - . Nell'area si avverte ancora molta tensione, lungo quelle strade circolano armi e droga, di notte ho avvertito diversi spari". Sia pure indaffarati in controlli e check-point diurni e notturni, la mente dei soldati in questi giorni è occupata dalle notizie provenienti dall'Italia. "Si stima che la Nato abbia impiegato 30 mila proiettili all'uranio impoverito in Kosovo e oltre 10 mila in Bosnia", dice Sedioli, e il contingente forlivese opera proprio in una delle aree dense di circoletti rossi, quelle più bombardate, dove la bonifica ambientale (compito dei nuclei speciali "Eod"), è stata effettuata solo in un parte. Ecco allora che i soldati guardano con attenzione e speranza all'esito della commissione scientifica appena istituita, diretta da Franco Mandelli, un'autorità nel campo dell'ematologia.

Ora Sedioli farà relazioni della sua visita al presidente della Camera Violante e al ministro della difesa Mattarella. A metà febbraio, infine, quando torneranno alla base forlivese, i militari del "Trieste", saranno ricevuti in Comune.

di Fabio Gavelli