sabato 23 dicembre 2000, S. Giovanni da Kety
La Nuova Sardegna
Ma gli albanesi del Kosovo sembrano immuni dal rischio

PRISTINA. Le notizie diffuse in Italia sui rischi di contaminazione per i proiettili all'uranio impoverito impiegati durante i bombardamenti della Nato, non sembrano impensierire gli albanesi del Kosovo. La stampa locale, solitamente sensibile alle denunce lanciate dai media internazionali, continua a ignorare l'argomento, eppure le zone bombardate sono popolate e talvolta densamente.

Nella fascia indicata dalla Nato ricadono infatti tre fra le più importanti città del Kosovo: Pec e Djakovica entrambe sotto il controllo dei soldati italiani della Kfor, e Prizren, che invece è sotto il controllo del contingente tedesco. In totale oltre 300mila persone.

Del tutto rassicuranti appaiono però le autorità sanitarie locali: «Dalla fine del conflitto non abbiamo registrato nessun caso di paziente che presenti sintomi da sospetta contaminazione radioattiva» ha detto Pleurat Sejdiu, coodirettore del Dipartimento per la sanità della missione delle Nazioni Unite a Pristina. «Nessun ricovero sospetto» confermano all'ospedale di Pec. «Se c'è rischio per i soldati dovrebbe esserci ancora di più per la popolazione civile che vive giorno e notte nelle aree colpite dai proietiili all'uranio» fa osservare un medico di turno nel reparto oncologico dell'ospedale di Pristina. Secondo la stessa fonte, che chiede di conservare l'anonimato, tra i rari malati ricoverati per sospetta leucemia nessuno proviene dalle zone considerate a rischio.