La Nazione, 31 dicembre
«Avvisati del pericolo soltanto tre mesi fa»
http://ilrestodelcarlino.monrif.net/chan/2/3:1657148:/2000/12/31
Lorenzo Bianchi

 BARI — L'allarme per i proiettili a uranio impoverito agli sminatori delle organizzazioni non governative presenti in Kosovo è arrivato con un anno di ritardo. Hanno ricevuto una letterina del tenente colonnello spagnolo Jacinto Romero, responsabile della sezione G 5 presso il quartier generale della Brigata multinazionale occidentale, quella che ha sede a Pec ed è guidata da un generale italiano. La data fa accapponare la pelle: 20 settembre 2000, tre mesi fa.

 Vito Alfieri Fontana, 49 anni, ex proprietario di una fabbrica di mine e ora coordinatore del progetto di bonifica di Intersos, lancia un'occhiata alla circolare e sente un tuffo al cuore: «La mia organizzazione ha cominciato a lavorare in Kosovo nel luglio del '99. Io ci sono stato per 14 mesi. All'inizio i civili ignari andavano a caccia di souvenir bellici. Due bossoli decisamente radioattivi di proiettili a uranio impoverito li hanno portati anche a me, nel '99. Li avevano trovati nella zona di Pec».

 La preoccupazione è tanta. «E' ovvio — dice — dirigo il lavoro di una ventina di dipendenti locali che dissinnescano le mine di circa trenta giovani cercatori di bombe inesplose. Stiamo sempre con la faccia a 50 centimetri da terra, non accetto l'idea che ai nostri enormi rischi si aggiunga un'altra incognita. Ho l'impressione che gli stessi militari brancolino nel buio circa gli effetti di quei proiettili… La loro polvere può entrare nella catena alimentare. I contatori geiger non la rilevano. Vedono solo i bossoli. La Nato sta usando altri tipi di sonde per i controlli».

 Vito Fontana non lo dice, ma quel grido di allarme tardivo gli pare inaccettabile in un lavoro di alta professionalità: «Le Nazioni Unite hanno garantito un coordinamento molto efficace. Abbiamo bonificato circa il 75 per cento del territorio. Solo il mio gruppo ha restituito 3600 abitazioni».

 Ma c'è quella zona d'ombra, quella minaccia che incombe e turba perché non ha ancora confini precisi. La lettera del tenente colonnello Romero è perentoria. «Negli ultimi giorni, durante controlli per il rischio Nbc (nucleare batteriologico e chimico) nelle stesse aree che le organizzazioni non governative stanno bonificando dalle mine, i miei esperti hanno trovato proiettili e bossoli a uranio impoverito. E' emerso — si meraviglia Romero — che molti civili addetti allo sminamento sono all'oscuro dei rischi che corrono maneggiando l'uranio impoverito con procedure sbagliate».

 L'ufficiale trasmette disposizioni categoriche al capitano Cristoph Hebeisen, il militare che rappresenta le brigate Ovest e Sud nel Centro di coordinamento delle Nazioni Unite per le operazioni di sminamento: toccare le pallottole radioattive solo con guanti chirurgici (e poi buttarli via), avvolgerle in una pellicola di plastica, chiamare subito la Kfor. E soprattutto attenti a non colpire i proiettili. Potrebbero incendiarsi e sprigionare ossido di uranio «che può provocare a lungo termine problemi di salute». Sotto al frontespizio c'è una scritta a mano: «Copia a ogni organizzazione».  Fontana scuote la testa. Nella zona più colpita con proiettili all'uranio la Kfor si è mossa con la velocità di un pachiderma imbarazzato.