La Nazione, 19 dicembre
E c'è anche l'allarme plutonio
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BOLOGNA — Sapremo davvero la verità sui rischi di contaminazione da uranio impoverito quando la missione dell'Unep, l'agenzia dell'Onu per l'Ambiente, renderà pubblici i dati del monitoraggio in Kosovo? Paolo Bartolomei, ricercatore dell'Enea che svolse un'analoga indagine nell'immediato dopoguerra nella Serbia del Sud, ha non pochi dubbi.

«Ogni campagna di misura va a dimostrare un'ipotesi di fondo: in questo caso quella dell'Unep è la stessa del nostro lavoro del maggio scorso. E cioè verificare se l'uranio impoverito ha prodotto una catastrofe ambientale in Kosovo. Ma quell'ipotesi di lavoro che aveva un senso allora, oggi, a distanza di un anno, non ne ha più».

Per quale motivo?

«I campioni che hanno dato a noi sarebbero interessanti se ci trovassimo di fronte a uno scenario simile a quello dell'Irak, dove hanno sparato 500 tonnellate di uranio. Ma con 10 tonnellate si sa già dall'inizio che non c'è catastrofe ambientale. Procedere con questi criteri, oggi, ha senso solo per dimostrare che è stato impiegato l'uranio. Ma questo lo sapevamo già».

E' possibile che il 'non c'è stata catastrofe ambientale' venga tradotto in 'non c'è motivo di rischio'?

«Secondo me sì. E' possibile».

Quale correlazione può sussistere tra le patologie dei nostri soldati e l'uranio impoverito?

«Difficile che questa scoria impiegata dall'industria bellica possa essere la causa diretta. A meno che l'uranio non sia fortemente contaminato col plutonio».

C'è dunque questa possibilità?

«Che ci siano tracce di plutonio nell'uranio depleto si sa: il Doe, Dipartimento dell'energia degli Stati Uniti, si era impegnato a pubblicare entro giugno 2000 uno studio sulla percentuale di contaminazione da plutonio. Siamo nel dicembre del 2000 e non sappiamo ancora nulla. Piuttosto, guardando ai reduci del Vietnam, la causa delle velocissime leucemie che hanno colpito la truppa è stata ricondotta all'uso dei defoglianti. Nel Nord della Serbia si sono formate diossine come prodotto secondario del bombardamento delle fabbriche. Anche in Bosnia sono stati colpiti insediamenti industriali e attorno a Sarajevo, in quattro anni di assedio, è successo di tutto».

Come doveva muoversi l'Onu per svolgere verifiche attendibili?

«La missione ha il divieto assoluto di interagire con la popolazione e una valutazione del gruppo critico, cioè dei soggetti che posso essere venuti in contatto col Du, non è stata fatta. Non abbiamo trovato un solo sabot dei 31mila colpi dichiarati dalla Nato. Bisognerebbe trovare e seguire con accertamenti medici costanti chi ha rubato il metallo, anche pezzi di blindato, per ricavarne ferro da rivendere al mercato nero. Solo seguendo chi si è maggiormente esposto, possiamo sapere quali rischi corrono gli altri. La missione ha trovato più uranio di quanto pensava di trovare, ma ripeto, non siamo di fronte a catastrofe ambientale. Ciò non significa che si debba essere tranquilli: semplicemente, invece di usare i criteri di indagine dell'Oms, appropriati a un anno di distanza, si è scelta un'altra strada».

Lorenzo Sani



Commento: rileggetevi la lettera aperta a Ronchi del 1 settembre 1999