Il Resto del Carlino, 3 febbraio
Mucca pazza: creiamo dei laboratori per fare noi i test»
http://ilrestodelcarlino.monrif.net/chan/2/7:1781242:/2001/02/03

FIRENZE — Sintomi di rabbia, fra gli allevatori che vedono passare come un carroarmato sulle loro aziende l'allarme mucca pazza. Ma anche tanta voglia di proporre, continuando a pensare da imprenditori. Come fa Giancarlo Lippi: a Firenze ha due aziende nei settori elettrico e telefonia, ma a Piacenza fa l'allevatore in un'azienda del settore latte, con circa 300 capi.

La sua esperienza fiorentina lo spinge a riflettere: «Quando metto sul mercato anche solo una lampadina, devo sottoporla alla valutazione di istituti che ne certifichino conformità e non pericolosità. Un esempio sono le certificazioni Iso. Idem per la telefonia. Allora perché contro mucca pazza si vuol procedere a interventi indiscriminati sul bestiame?».

Lippi la sua proposta ce l'ha, ed è il seme di quella voglia di imprenditorialità che intende resistere, razionalizando: «Mi rivolgo alle associazioni di categoria: se nelle loro strutture locali si dotassero di istituti di analisi per i controlli vicini al consumo, certificati poi da un organo centrale, il problema diverrebbe superabile».  Si spiega: «Dopo la macellazione, prima di essere lavorati, i bovini debbono rimanere alcuni giorni a riposo: 20-25 giorni in cui c'è tempo di fare tutti i controlli possibili. Se il capo è malato, lo si distrugge, ma se è sano posso mangiarmi non solo l'osso della bistecca, ma persino il cervello».

La questione è che il morbo della mucca pazza sembra avere periodi di latenza. Lippi si appella alla vicenda della mucca Sissi: accusata in un primo momento di essere malata di Bse — e di essere dunque il secondo caso italiano di mucca pazza — dopo pochi giorni venne 'assolta' dalle successive analisi.

«Non ho dubbi che la mia sia una proposta praticabile e conveniente per tutti — insiste Lippi —. Per allevatori, macellai e soprattutto per i consumatori. Le bestie sarebbero tutte controllate e verrebbero immesse sul mercato con una tessera sanitaria individuale. Se la bestia è sana non c'è bisogno delle cautele generiche. Perché mettere tutti i capi sullo stesso piano? Serve è un approccio diverso, più capillare».

Alla base di tutto resta l'amarezza degli operatori di un settore che si sente sull'orlo della disfatta: «I miei vitelli? Macché — racconta un Lippi desolato —, non so più che farmene. Non li vuole macellare più nessuno. Che devo fare? Stanno in stalla, all'ingrasso e a morire di vecchiaia, tenuti a forza fuori dal circuito produttivo e imprenditoriale».

Monica Nocciolini

Nella foto: Giancarlo Lippi



Commento: quello che dovrebbero fare è misurare la concentrazione di isotopi radioattivi. Su tutti gli alimenti dovrebbe essere indicato il livello di radioattività, per permettere al consumatore di scegliere (e per responsabilizzare chi li produce/commercializza, etc.). Quando mai? Il "loro" gioco consisteva nello stabilire l'esistenza di una dose "innocua" di radioattività (cosa falsa, non esiste dose innocua) e di impedire comunque alla gente di calcolare quanta radioattività si becca NASCONDENDO quali e quante sono le sorgenti radioattive. I responsabili dovrebbero essere trascinati davanti ad un tribunale popolare internazionale, come minimo.

Vedi: BSE: Waste firm may face prosecution over radioactive find (Yahoo, 1 febbraio)