Il Manifesto, 2 giugno 2001
Lettera
Il maresciallo e la rana
Giuseppe Pesciaioli*

Oggi 2 giugno festa della Repubblica, io Maresciallo dell'Esercito e Rappresentante del Cocer (lo pseudo sindacato militare) non ci sarò né fisicamente né mentalmente.

Che si faccia la Festa della Repubblica con le sfilate militari in pompa magna come ai tempi che furono, oggi lo trovo un insulto per tutti quelli che sono stati inviati nella guerra della ex Jugoslavia e ancora attendono una risposta ai tanti interrogativi sull'uranio impoverito, sulla morte del parà Scieri e sulla strage di Ustica.
Io, come diceva ieri su Il Manifesto Daniel Amit, non voglio fare la fine della rana nell'acqua tiepida.
Non credo che per festeggiare la storia della nostra Repubblica sia necessario dare dimostrazione pubblica di tanto militarismo, per me il 2 giugno rappresenta la rinuncia alle armi di un popolo che come oggetto di identificazione ripudia la guerra e tutto ciò che è connesso con essa.

Non sono un militare antimilitarista, ma credo di essere un cittadino che distingue, anzi vuole distinguere, quello che è un mezzo di tutela della democrazia con un uso strumentale e demagogico di una manifestazione che sa tanto di volgare e illiberale.
Il senso di questa iniziativa mi è sconosciuto. Se i militari italiani sono un esempio di coesione nazionale e rappresentano la difesa dei patri confini, non si comprende perché l'impunità di alcuni complici di aver fatto pagare con la vita a tanti cittadini il dovere di servire alle armi il Paese, sia diventata la regola che caratterizza lo stato delle cose attuali. Il caso Scieri che personalmente mi ha colpito moltissimo, la sua fine ingiusta e illogica, mi ferisce nella dignità di uomo e di militare e non trovo nessun elemento per festeggiare.
Le divise che sfileranno tra i fori imperiali saranno sporche del sangue di un innocente, imbrattate di polvere all'uranio impoverito, delle omissioni o occultamenti delle tracce dei radar nella notte di Ustica, dell'omicidio del Maresciallo Mandolini e dalla recente morte per suicidio della moglie di un mio collega per una amministrazione sorda e cieca nei confronti di chi chiama a rispondere con la propria vita la chiamata alle armi. Proprio non ci trovo niente da festeggiare, c'è tutto da piangere.

Paradossalmente da piccolo non ho mai giocato con le armi o con i soldatini e non intendo farlo da grande, faccio il mio lavoro con l'obiettivo di garantire una difesa alla Patria, per questo ho giurato e per questo intendo continuare.
Non ho mai partecipato a missioni definite "umanitarie", non ci credo nella pace costruita con le bombe, non credo che per costruire bisogna prima distruggere; credo invece che per garantire bisogna difendere quello che si è conquistato senza spargere ulteriore sangue.
I nostri militari sfileranno per dovere e non per piacere, sicuramente molto annoiati e infastiditi dal fatto che i riflettori si accendano sulle nostre Forze Armate quando si muore e quando c'è da fare da belle mascherine per il divertimento di tanti che sbandiereranno il tricolore, ignari di farlo su uomini che non hanno diritti, nemmeno quello di chiedere giustizia.

* Maresciallo ordinario rappresentante Cocer Esercito