Il Manifesto, 21 gennaio
URANIO
E ora mettiamolo al bando
Sotto il ponte che collega Belgrado a Pancevo vivono in duemila e duecento. Sono rom profughi dal Kosovo, scacciati dalle bombe Nato e dall'Uck.
Per loro morire di uranio impoverito può essere addirittura un lusso
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art20.htm
GIULIO MARCON *

Domani una trentina di presidenti e responsabili di altrettante associazioni nazionali impegnate in questi anni nei Balcani si incontreranno con i parlamentari e la stampa per lanciare un'iniziativa permanente sull'uranio impoverito. Obiettivi: costruire una coalizione per mettere al bando queste armi, accertare la verità e tutte le responsabilità, aiutare le popolazioni locali e tutte le vittime delle contaminazioni. Ormai dovrebbe essere chiaro a tutti: queste armi sono palesemente illegali e contrarie al diritto umanitario, anche se nessuna convenzione ne vieta esplicitamente l'uso. La risoluzione dell'Onu del '96 afferma che tali armi "sono incompatibili con la promozione e con il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale", mentre il primo protocollo della Convenzione di Ginevra proibisce "l'uso di armi e proiettili... che causano danni superflui e sofferenze non necessarie". Basterebbe questo, ma evidentemente è necessario essere più espliciti. Ecco perché si chiede al governo e al parlamento italiani un atto formale: una legge ordinaria che vieti la produzione, lo stoccaggio, il transito sul proprio territorio e l'uso di armamenti ad uranio impoverito e la promozione in ambito internazionale di una proposta di convenzione specifica che abbia gli stessi contenuti.

Nessuna Alleanza può obbligare un paese membro (o suddito?) a macchiarsi di crimini di guerra. Per coerenza, l'Italia - in attesa di una legge o di una convenzione internazionale - dovrebbe dichiarare unilateralmente la propria indisponibilità a partecipare in futuro a operazioni militari in cui possano essere utilizzate questo tipo di armi. Il balletto delle mezze ammissioni, delle date dei rapporti ufficiali o ufficiosi, dello scaricabarile con la Nato e tra ministeri è noto ed è abbastanza indecoroso. Sta di fatto che il governo italiano e le forze armate già sapevano, dalla primavera-estate del 1999, che tali armi erano state usate in Kosovo e in Serbia; le precauzioni per i militari sono state adottate con colpevole ritardo, almeno sei mesi dopo il loro arrivo in Kosovo: nessuna informazione è stata data ai volontari civili, che si sono dovuti arrangiare da soli; nessuna informazione e aiuto sono stati dati alle popolazioni locali, che sono quelle che più di tutte soffriranno le conseguenze dell'uso di questi proiettili. Le ammissioni di Amato ("sì, sapevamo del Kosovo, non della Bosnia") o di D'Alema che chiede (ora, non allora) la moratoria su queste armi sono decisamente stucchevoli. Va ricordato (lo ha fatto il sottosegretario Calzolaio) che un anno fa D'Alema era già stato allertato sui rischi e sulle possibili iniziative e che c'era un bel rapporto di 66 pagine dell'Anpa che avanzava la proposta di un'indagine sul campo per valutare le conseguenze dell'uranio impoverito in Kosovo e in Serbia. Il rapporto si perse tra le scrivanie di Palazzo Chigi. Recentemente è stata approvata al Senato una buona risoluzione che impegna il governo a "provvedere al finanziamento di un piano straordinario di informazione, monitoraggio e bonifica ambientale nell'intera ex Jugoslavia". In un'altra parte si fa cenno a controlli e indagini su "gruppi critici di popolazione coinvolta" e si parla di "controlli sanitari" anche per gli operatori civili. Con quali mezzi è difficile dirlo, visto che la legge sulla partecipazione e la ricostruzione dei Balcani non sarà approvata prima della fine della legislatura. Nessun progetto italiano presentato nella cornice del Patto di stabilità riguarda interventi per far fronte alle emergenze sanitarie o ambientali causate dalla guerra. I 304 miliardi stanziati dall'Italia per i progetti del Patto di stabilità sono in gran parte sulla carta. E anche gli impegni presi per costituire un'anagrafe e per un piano di controlli sanitari per i volontari che sono stati in quelle aree sono ancora mere dichiarazioni di intento: nessun fonogramma, circolare, decreto è stato fatto per allertare le Asl, e nessuna amministrazione pubblica si è attivata per costituire la lista dei volontari nei Balcani, che si stima siano oltre 5.500.
 * Presidente dell'ICS