Bambini di guerra
La ginecologa di Pacevo: la peste chimica ha colpito soprattutto chi è nato sotto le bombe
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/20-Gennaio-2001/art16.htm
LORIS CAMPETTI - INVIATO A PANCEVO

 Sia a Belgrado che a Pancevo la clinica ostetrica si trova vicino alle stazioni di polizia bombardate. In quei 78 giorni d'inferno, che non ho perdonato e mai perdonerò alla Nato, abbiamo tentato di proteggere i neonati con le garze e il bicarbonato di sodio. Per quanto riguarda il lavoro di noi medici sotto le bombe posso garantire, non altrettanto mi sento di fare sul comportamento delle mamme tornate a casa dopo il parto: non so quanto abbiano seguito le indicazioni delle autorità sanitarie, per esempio ad allattare più a lungo i bambini per accelerare la formazione delle difese immunitarie. I neonati sono la fascia più a rischio rispetto all'inquinamento chimico, proprio perché non hanno ancora sviluppato il sistema immunitario, perciò temo per la sorte di questi bambini, venuti al mondo a due passi dai luoghi dove le bombe hanno provocato nubi tossiche. Purtroppo, per loro non abbiamo fatto quasi nulla, servirebbe un'indagine epidemiologica, controlli a tappeto sui soggetti più a rischio senza aspettare di visitarli quando sono già ammalati. Per tutto questo avremmo bisogno di mezzi che non abbiamo". Milica Magdeski è ginecologa all'ospedale di Pancevo, in stretto contatto con il centro di protezione sanitaria di Belgrado. E' uno dei medici più informati sulla situazione di rischio sanitario delle fasce più deboli della popolazione serba, a partire daibambini.

Molti medici e alcuni ospedali nelle zone più colpite hanno lanciato un messaggio allarmante alle donne: "Non portate a termine le gravidanze, c'è il rischio di malformazioni". E' un appello fondato?

 Non lo è, anzi è assurdo, glielo dice una neonatologa che si occupa di patologie della gravidanza. Dato per scontato che ci sono state e ci sono radiazioni provocate dai proiettili all'uranio, acquisito che abbiamo subito un inquinamento chimico dell'acqua, dell'aria e del terreno e che i metalli pesanti e altre sostanze tossiche entreranno nella catena alimentare, per vederne gli effetti concreti sulla salute dovremo attendere anni. Diffondere il panico è irresponsabile. Ma in particolare dev'essere chiaro che il feto è protetto dalla placenta che funziona da spugna, filtrando le sostanze tossiche. Ripeto che le fasce più a rischio sono i bambini nati durante e subito dopo i bombardamenti. L'aumento di aborti spontanei, gravidanze patologiche e feti malformati non è ancora così allarmante. Allarmante, invece, è l'aumento dei tumori in varie fasce della popolazione, delle malattie respiratorie e intestinali. Non serve poi chissà quale indagine per rendersi conto che qui a Pancevo tutti hanno la tosse. In ogni caso, finché la Nato non si degnerà di consegnarci le mappe dei siti bombardati, con le caratteristiche degli strumenti di morte utilizzati, qualsiasi seria indagine epidemiologica e dunque qualsiasi intervento strutturale saranno impossibili.

 Vuol dire che le famiglie serbe devono stare tranquille e riprendere a fare figli?

 Non mi fraintenda, noi dobbiamo raddoppiare le attenzioni, le analisi prenatali, le amniocentesi. Tenere sotto controllo la salute delle future mamme, di qualsiasi donna decida di condurre a termine la gravidanza.

 Non ci sarà una preoccupazione socio-politica, in questo tentativo di evitare la diffusione del panico, un minimalismo che è anche delle autorità sanitarie e politiche?

 Decida lei. Io posso soltanto fornirle qualche numero e qualche informazione. Dieci anni fa, prima del "periodo d'oro" delle guerre, dell'embargo e di quelle maledette bombe, nella provincia di Pancevo nasceva una media di 2.500 bambini al giorno. Lo sa quanti ne nascono oggi? 1.580, 1600 al massimo. La causa, glie l'avranno già detto in molti, è di natura sociale: la povertà è assoluta, il senso di incertezza per il presente e il pessimismo per il futuro, la caduta delle aspettative di vita, lo stress prodotto dalla continua mancanza di luce, riscaldamento, cibo in quantità e qualità accettabili, la mancanza di case, di soldi per pagare affitti e bollette o per comprarsi le medicine. Per questo nel mio paese non si fanno più figli. A questo aggiunga il fatto che i giovani in età procreativa stanno emigrando da dieci anni, fuggono dalla Serbia alla ricerca di una vita migliore, vanno in Canada, in Usa, o addirittura in Sudafrica, in Botswana, nel Gabon. Se ne vanno i giovani sani, colti, belli, una tragedia nella tragedia. Capisce, ora, perché sarebbe irresponsabile sostenere con grida d'allarme questo crollo demografico?