Il Manifesto
10 gennaio
I misteri kosovari
ITALIA Analizzati 80 reperti. Giallo sui carri armati scomparsi
ANGELO MASTRANDREA - ROMA
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/10-Gennaio-2001/art10.htm

 Pochi sanno che la zona del Kosovo più bombardata con proiettili all'uranio impoverito è la collina di Vranovac. Secondo le carte messe a disposizione dalla Nato nello scorso maggio, contro presunti obiettivi serbi presenti sulla collina sarebbero stati sparati ben 2.300 proiettili radioattivi dagli A-10 Usa. Nessuno, tranne gli esperti dell'Unep andati a prelevare campioni da analizzare, sa invece che proprio lì non è stato trovato un bel niente. Niente obiettivi serbi colpiti, niente artiglieria, nessun carro armato sventrato dai micidiali penetratori all'uranio, nessun proiettile o frammento di proiettile. Una singolare stranezza, che lascia spazio ad alcune obbligate considerazioni: o la Nato ha mentito, fornendo mappe sbagliate, oppure l'intera zona è stata bonificata di nascosto. L'improbabile tesi ufficiale della Kfor è che i serbi abbiano portato con sé i rottami. Possibile, invece, che i rottami radioattivi siano stati portati via dai kosovari, probabilmente per essere rivenduti (già la relazione dell'antimafia dello scorso anno segnalava traffici illegali di scorie metalliche dall'est europeo verso fabbriche italiane, dove verrebbero fuse e riciclate). Oppure che l'intera area sia stata bonificata dalla stessa Kfor e il materiale portato chissà dove.

 Fin qui la collina di Vranovac, colpita due volte l'8 giugno del '99, il penultimo giorno di guerra. Ma la spedizione dell'Unep, di cui faceva parte anche l'italiano Umberto Sansone, dell'Anpa, hanno preso in esame anche altri dieci siti, nella zona sotto giurisdizione tedesca e italiana. Peccato che lo stesso Programma ambientale dell'Onu abbia imposto il silenzio assoluto fino alla pubblicazione del rapporto finale, previsto per la fine di febbraio (ma, secondo indiscrezioni, potrebbe essere anticipato agli inizi del mese). Questo ha impedito alla commissione tecnico-scientifica nominata dal governo a marzo scorso di metterne al corrente il ministero dell'ambiente. La commissione ha infatti incontrato, ieri, il sottosegretario Valerio Calzolaio, a cui ha illustrato il lavoro svolto fino a oggi.

 Ma qualcosa trapela dalle maglie dei divieti. Innanzitutto che in otto siti sono stati trovati, a un anno e mezzo dalla fine della guerra, sette penetratori integri, due frammenti di penetratori e otto bossoli. Poi che nelle immediate vicinanze è stato rilevato un tasso di radiazioni beta e gamma superiore alla norma. Altri dati sono venuti fuori dalle analisi svolte all'università di Bristol. Anche in questo caso, un numero imprecisato di campioni sarebbero risultato leggermente radioattivo. Degli 80 campioni (sui 340 totali) analizzati in Italia, diversi sarebbero stati trovati radioattivi. In particolare, dai controlli su reperti di acqua, terreno, muschi, licheni e proiettili, sarebbe emerso un tasso di radioattività superiore a quello "naturale" in parte dei 15 campioni spediti nei laboratori dell'Enea di Bologna. Meno problemi, invece, dai 15 analizzati dall'università di Urbino e dai 50 nelle mani dei laboratori dell'Anpa di Pomezia terme (Roma). Si tratta, comunque, di dati molto parziali, in quanto gli ottanta campioni sono stati prelevati solo nella zona sotto giurisdizione italiana, in una fascia a circa 20 chilometri dalla frontiera, dove si presume che siano stati sparati proiettili all'uranio, ma dove, ad esempio, non sono stati sparati missili Tomahawk.

 Un altro aspetto inedito riguarda le "salve di prove". Proviamo a spiegarci. Gli A-10, prima di colpire l'obiettivo, provano le mitragliatrici sparando una raffica di 20-50 proiettili. Di questi, per ogni tre cinque sono all'uranio impoverito. Generalmente, queste salve finiscono in mare. In questo caso, quell'Adriatico di cui nessuno più parla.