09 Gennaio 2001
Il Manifesto
Prove tecniche
http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/09-Gennaio-2001/art1.htm
FRANCESCO PATERNO'

 Le guerre non si fanno mai per ristabilire un'etica, ma per sperimentare le armi. Una prova su strada di quanto fatto ai computer o in qualche poligono desertico. Vuoi mettere l'effetto che fa lanciare un Tomahawk da un sottomarino lontano mille miglia dall'obiettivo e centrare un carro armato, un pullman di civili o un'ambasciata neutrale?

 Sperimentare armi significa anche che qualche nostro soldato - italiano, americano, tedesco o francese - potrebbe rimetterci la pelle. Un rischio calcolato al ribasso, s'intende. Mica si può impedire che, bambini a parte, qualche militare metta le mani tra la polvere d'uranio impoverito o sia sempre pronto con la maschera per evitare contatti con sostanze chimiche aggressive. E' una delle leggi della guerra, nota però solo agli altissimi livelli militari: quelli che in genere non stanno proprio in mezzo al campo di battaglia.

 Ecco, se c'è una cosa che oggi la Nato non dirà sull'uso dell'uranio impoverito sparato nel Kosovo e in Serbia e sul suo (ancora) ipotetico legame con i casi di leucemia tra soldati del contingente occidentale, sarà questo. Qual era il reale livello di rischio per i "nostri ragazzi"?

 L'ostinazione del Pentagono a negare qualsiasi nesso tra l'uso del "metallo del disonore" e le malattie gravi di decine di reduci di Bosnia (e dei circa centomila veterani della guerra del Golfo) fa però venire un sospetto ancora più inquietante: e se fosse vero? E se le morti improvvise di ragazzi sani e abilitati al combattimento fossero da attribuire all'utilizzo di altre armi - chimiche, batteriologiche o chissà che altro ancora - comunque "sconosciute"?

 Non è Stranamore che avanza, potrebbe essere una realtà che supera la fantasia e non sarebbe la prima volta. E' uno scenario autorizzato dai troppi silenzi e dalle troppe omissioni cui le sfere militari hanno abituato le opinioni pubbliche. Da relazioni falsate perfino tra eserciti. Prendete i nostri generali, che affermano di non aver saputo dell'uso americano di bombe all'uranio in Bosnia. Probabilmente è vero. Perché mai dovevano essere informati? Gli americani negano perfino che i loro jet vanno a spasso nelle valli trentine ad abbattere casualmente funivie, figuriamoci se in zona d'operazioni sentono il dovere di comunicare quali e quante armi utilizzeranno.

 Vorremmo essere subito smentiti, naturalmente, e vorremmo anche conoscere le conclusioni mediche sui casi dei reduci del Golfo, tenute in qualche laboratorio segreto del Pentagono. Amato ha chiesto lumi alla Nato e agli americani, come fece nel '84 per Ustica ("aprite quei cassetti"). Domanda inutile. Come allora, non otterrà alcuna risposta.