Sospeso l'arresto del Procuratore capo di Roma: collabora (8 giugno)

Durante l'incontro a Roma presso il Tribunale Internazionale sui crimini della NATO, incontriamo un avvocato che avanza una audace ipotesi: il Procuratore di Roma Salvatore Vecchione starebbe collaborando a suo modo per la condanna di D'Alema e Salfaro a seguito delle decine di denuncie presentate nelle varie Procure italiane e da lui archiviate. Difatti, i motivi di archiviazione presentati da Vecchione sarebbero talmente palesemente assurdi da permettere un ricorso in Cassazione che annullerebbe l'archiviazione stessa. Certo è che si tratta di un metodo complicato e poco pratico per favorire la giustizia reale. Va fatto notare che la nomina a Procuratore capo fa parte della spartizione politica delle cariche più alte dello Stato da parte dei partiti, cane non morde cane. Nella realtà, a noi pare, il Procuratore ha solo cercato di guadagnare tempo. Facciamo notare che la denuncia presentata dall'Osservatorio alla Procura di Milano, come allegato alla denuncia più ampia per l'affare "uranio-connection", non è stata invece archiviata (vedere: Esposto denuncia 19 ottobre 1999 - contro D'Alema ed altri per sovversione). Ma ecco il dispositivo di archivazione delle altre denuncie e l'articolo che avevamo pubblicato precedentemente:

A cura dell'Avv. Mattina di Roma.

La denuncia è stata presentata il 18/05/1999 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Roma (prot. deleghe n. 3863). Il Procuratore dr. Vecchione, solo in data 01 luglio 1999, in spregio del termine di 15 gg. fissato dall'art. 7 L. Cost. 16/01/89 n. 1, ha trasmesso la denuncia, unitamente alla sua richiesta al Collegio per i reati ministeriali senza darne avviso ai denuncianti, quali parti interessate, ancora una volta in spregio dell'art. 6, 6 come da legge citata.

In realtà lo sciatto provvedimento del dr. Vecchione è costituito da una motivazione di poche righe. La prima parte per giustificare (si fa per dire) l'omessa comunicazione ai denuncianti, l'altra destinata a spiegare (si fa sempre per dire) che la denuncia è infondata, anche se non si conclude con una esplicita richiesta di archiviazione.

Il Collegio per i reati ministeriali, con provvedimento in data 26/10/1999 ha archiviato la denuncia con una motivazione scorretta da un punto di vista giuridico e contenente affermazioni storicamente non corrispondenti al vero.

Il Procuratore della Repubblica di Roma, unitamente a quella da noi presentata, ha trasmesso al Collegio per i reati ministeriali, anche molte altre denunce, come ho saputo in via informale e come è dato evincere dall'epigrafe dove viene citato, oltre i reati da noi ipotizzati, anche altra ipotesi di reato.

Non mi è stato possibile avere l'elenco degli altri documenti per il rifiuto della Cancelleria di fornirmi tale elenco.

Allegati: richiesta di archiviazione - P.M. Roma;
decreto di archiviazione Collegio per i reati ministeriali.



R.G. Coll. n. 17/99
R.G. P.M. n. 9521/99

COLLEGIO PER I REATI M1NISTERIALI
presso IL TRIBUNALE DI ROMA
Via Triboniano, n. 3

Il Collegio, composto dai Sig.ri magistrati:
dott. Costantino Fucci  Presidente,
dott. Fausto Basile     Giudice,
dott. Massimo Di Marziantonio    Giudice,
ha pronunciato il seguente

DECRETO

nei confronti di D'Alema Massimo, nato a Roma, il 20.4.1949, indagato dei reati di cui agli artt. 283, 287, 422 c.p., nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri. Il procedimento penale trae origine da una serie di denunzie sporte presso diverse Procure della Repubblica da singoli cittadini o da gruppi (o enti), trasmesse poi alla Procura della Repubblica di Roma per competenza. Tali scritti - variamente articolati nel contenuto, nell' indicazione di fattispecie penalmente rilevanti e dei pretesi autori dei reati (di volta in volta individuati nel Presidente del Consiglio dei Ministri, in quest'ultimo in concorso con il Presidente della Repubblica, in alcuni dei Ministri, nella totalità dei componenti del Governo ) - muovono dall'assunto dell'illegittimità costituzionale della scelta del Governo della Repubblica di partecipare ai ripetuti attacchi aerei organizzati da alcuni Paesi della NATO ai danni della Repubblica Federale di Iugoslavia, nella primavera del 1999. L'illegittimità dell'operato governativo si pone, secondo i denunzianti, innanzi tutto in relazione all'art. 11, 1° e 2° comma, Cost..

Invero, gli attacchi aerei (tanto quelli intrapresi direttamente da velivoli italiani, quanto quelli intrapresi dai velivoli di altri Paesi della NATO, ma comunque attribuibili in concorso al Governo italiano per la comune  preordinazione e per l'imprescindibile partecipazione, consistita nella messa a disposizione delle basi di terra e degli spazi aerei nazionali) concretano atti di guerra offensiva, pur se motivati con il preteso intento di indurre il Governo iugoslavo al rispetto dei diritti civili e politici della popolazione di etnia albanese della provincia del Kosovo. L'operazione bellica, pertanto, non è giustificata dal trattato NATO, anzi è stata compiuta in diretta violazione dello stesso, che prevede l'obbligo degli Stati aderenti di muovere guerra soltanto in caso di aggressione ad opera di un Paese terzo ai danni di un Paese aderente. Per di più, pur essendo necessaria l'unanime deliberazione dei Paesi alleati, nel caso di specie le operazioni militari sono state intraprese a seguito della decisione congiunta di alcuni soltanto di essi. Inoltre, i denuncianti sostengono che sussiste l'illegittimità costituzionale dell'operato governativo sotto il profilo della violazione degli artt. 78 e 87 della Costituzione.

In base al combinato disposto di tali norme, lo stato di guerra deve essere dichiarato dal Presidente della Repubblica, previa deliberazione delle Camere, le quali conferiscono al Governo i poteri necessari. Nella fattispecie concreta, invece, il Governo ha assunto illegittimamente l'iniziativa bellica in assenza dei necessari presupposti. Alla stregua di quanto esposto, i denuncianti chiedono che l'Autorità giudiziaria proceda a carico dei responsabili per i reati di attentato alla costituzione dello Stato, di usurpazione di potere politico e di strage. Con atto del 1°luglio 1999 (pervenuto alla Cancelleria di questo Collegio il successivo giorno 3) il Procuratore della Repubblica di Roma, senza compiere alcuna indagine, ha chiesto l'archiviazione del procedimento n. 9521/1999 del R.G.P. (al quale è stato riunito il (I procedimento n. 2279/1999 dello stesso registro) nei confronti del D'Alema, per i reati a lui attribuiti nella veste di Presidente del Consiglio dei Ministri. In data 3 agosto 1999 sono pervenuti in Cancelleria gli atti del procedimento iscritto nel R.G.N.R. n. 3767, sempre a carico del D'Alema, per i reati indicati in epigrafe, in forza di varie denunzie raccolte da diverse Procure della Repubblica e trasmesse "per competenza" alla locale Procura della Repubblica. Gli atti sono stati inviati a questo Collegio dal Procuratore "per unione" a quelli del procedimento penale n. 9521/1 999 R.

Altre denunce di analogo contenuto sono state trasmesse a questo ufficio, sempre "per unione" a quest'ultimo procedimento, in data 14.10.1999. La richiesta di archiviazione del Pubblico Ministero poggia sulla considerazione che le denunce sono manifestamente infondate non soltanto in fatto, ma anche in punto di giurisdizione. Osserva il Collegio - conformemente alla richiesta di archiviazione, da intendersi riferita a tutti gli esposti e le denunce riuniti nel presente procedimento - che a carico del D'Alema non si ravvisano gli estremi dei reati a lui contestati, previsti dagli artt. 283 (attentato contro la costituzione dello Stato), 287 (usurpazione di un potere politico o militare) e 422 c.p. (strage).

In ordine alle prime due ipotesi di reato, va rilevato quanto segue.

Risulta dal tenore di alcune delle denunce depositate e dai documenti ad esse allegati che il Presidente del Consiglio pro tempore ha sottoposto al preventivo controllo del Parlamento (a mezzo di pubblico dibattito, concluso con rituali dichiarazioni di voto) la deliberazione dell'intervento in Kosovo.

L'intervento - sia pure ideato e qualificato, alla stregua della esposizione svolta dal Presidente del Consiglio dinanzi alle Assemblee, come volto alla realizzazione dello scopo umanitario della preservazione dell'incolumità e delle fondamentali libertà civili e politiche della popolazione di etnia albanese del Kosovo - non poteva non comportare l'ingresso di forze militari alleate (nell'ambito dell'organizzazione NATO) nel territorio della predetta regione e, cioè, nello spazio di sovranità della Repubblica Federale Iugoslava ed altresì l'impiego delle Forze Armate della Repubblica (anche eventualmente delle sole strutture logistiche) in una prospettiva di guerra offensiva.

L'intervento, del resto, tanto in corso di esecuzione quanto una volta concluso, non è stato mai censurato dalle Camere nelle sue concrete e storiche modalità di attuazione. Sicché, al di là della mancata autorizzazione formale dello stato di guerra da parte del Parlamento, la ratio della norma dell'art. 78 della Costituzione (secondo la quale "le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari") è stata sostanzialmente rispettata.
Invero, è stata realizzata la finalità di fare interloquire il Parlamento, con pronunzia evidentemente vincolante, nel procedimento attivato dall'iniziativa del Governo di intraprendere operazioni militari contro uno Stato estero. Quanto al mancato esercizio da parte del Capo dello Stato del potere di dichiarare lo stato di guerra deliberato dalle Camere - ai sensi dell'art. 87, nono comma, della Costituzione -, tale omissione non comporta alcun sovvertimento o radicale deroga all'equilibrio dei poteri di governo delineati dalla Carta fondamentale sul punto relativo alla giusta vigenza dello stato bellico.

Da quanto precede, discende che nella condotta del Governo non si ravvisa alcun vulnus alla forma di governo delineata dalla Costituzione. Irrilevante è, inoltre, la questione della pretesa violazione dell'art. 11. della Costituzione e delle fonti di diritto internazionale da tale norma richiamate, la quale potrebbe in ipotesi dare luogo soltanto ad una responsabilità politica del Governo e dello Stato italiano nell'ambito dell'ordinamento internazionale. Ciò premesso, non può non ulteriormente rilevarsi l'assoluta estraneità della fattispecie in esame alle previsioni degli artt. 283 e 287 c.p..

La prima ipotesi di reato va radicalmente esclusa, mancando fatti o atti oggettivamente in grado di mutare la Costituzione o la forma di governo della Repubblica ed, in ogni caso, la cosciente volontà del Presidente del Consiglio di realizzare un tale evento. Da ciò consegue che l'azione del medesimo non è punibile, né sotto il profilo oggettivo, né sotto quello soggettivo. La ricorrenza della seconda fattispecie è da escludersi spettando al Governo, a termini di Costituzione, il potere di impulso e di iniziativa circa l'inizio delle operazioni belliche, sicché nessun potere spettante ad altro organo costituzionale è stato illecitamente esercitato. Difetta, pertanto, nella specie l'elemento materiale del reato, costituito dalla arbitraria invasione della sfera giuridica di altro Potere dello Stato.
Parimenti, non sussiste il reato di strage, essendo tale fattispecie non ipotizzabile neppure in astratto data la sua incompatibilità con il carattere bellico delle operazioni militari. Quanto detto, vale ad escludere anche la responsabilità penale dei singoli Ministri in ordine ai fatti di cui è processo. Va, infine, affermata l'assoluta infondatezza delle prospettate ipotesi di reato previste dall'ordinamento internazionale, in quanto non sono stati allegati comportamenti, penalmente rilevanti, direttamente attribuibili al Presidente del Consiglio ed ai Ministri.

In conclusione, poiché i fatti contestati non sono previsti dalla legge come reato e, per alcune ipotesi di reato, le accuse sono manifestamente infondate, va emessa pronuncia di non doversi promuovere l'azione penale nei confronti di D'Alema Massimo e, conseguentemente, va disposta l'archiviazione del procedimento, in conformità alla richiesta del Pubblico Ministero.
P.Q.M.

Visto l'art. 8 della Legge Costituzionale del 16 gennaio 1989, n. 1,

DISPONE

l'archiviazione del procedimento nei confronti di D'Alema Massimo ed ordina trasmettersi gli atti all'archivio. Manda alla Cancelleria per la trasmissione di copia del presente provvedimento al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma perché ne dia comunicazione al Presidente della Camera competente ai sensi dell'art. 8, comma IV della stessa legge.

Roma, 26 ottobre 1999
I Giudici
Il Presidente
Dott. Fausto Basile
Dott. Fucci Costantino
Dr. Massimo Di Marziantonio
Il dr. Di Cancelleria
Livia Salmeri
depositato in Cancelleria il 26/10/99



PROCURA DELLA REPUBBLICA

Presso il       Tribunale di Roma
ooOoo
n.      9521/99R
IL PUBBLICO MINISTERO
osserva:

1.      Gli esposti-denuncia si presentano oggettivamente generici e apodittici e come tali inidonei alla attribuzione di responsabilità personali per le affermate ipotesi -   tra le altre  previste - dagli artt. 283, 287, 422c.p. sia nei confronti del Presidente del Consiglio protempore, sia nei confronti di altri componenti del Governo.

2.      I fatti oggetto di doglianza presentano connotati che non possono essere ricondotti alla giurisdizione della magistratura ordinaria: essi, infatti, sono riferibili a interessi politici essenziali dello Stato e a scelte  di valenza squisitamente costituzionale eseguite per effetto di impegni assunti nell'ambito di organismi internazionali (sicchè l'A.G.O. verrebbe a compiere valutazioni sui contenuti di impegni e obblighi conseguenti a trattati internazionali; così travalicando, paradossalmente, addirittura il principio di sovranità).

Si ritiene, quindi, che le denunce siano manifestamente infondate non solo in fatto ma anche in punto di giurisdizione.

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Si ritiene di omettere la comunicazione di cui aIl'art. 6 cpv.
L.1/89 agli esponenti, non rivestendo essi la qualità  di soggetti interessati".
E' evidente, invero, che questi ultimi non possono essere individuati con i soggetti che siano meri "esponenti" o "denunzianti" (in tal caso ogni cittadino sarebbe portatore di siffatto "interesse"). In realtà la categoria indicata dalla L. 1/89 cit. non può che essere ricondotta ai concetti del diritto processuale ordinario e in particolare alla norma dell'art. 408/2 c.p.p.; sicché il denunciante (o l'esponente) deve essere portatore di un interesse specifico qual' è quello della "persona offesa" e/o del soggetto passivo del reato. Qualità che nel caso in questione è palesemente insussistente.

Roma, 1 luglio 1999
 

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA

Salvatore Vecchione



Il popolo Sovrano arresta il Procuratore capo di Roma (8 giugno)

Grande kermesse a Roma a Piazzale Clodio, il Popolo Sovrano arresta il Capo della Procura Dott. Vecchione. Tutti i cittadini sono invitati oltre alle stesse Forze dell'Ordine mandatarie della difesa degli interessi Sovrani del Popolo.

Istruzioni:
Stampare il seguente mandato e portarne una copia con sé, il giorno 8 giugno alle 16.00 dimostreremo che la legge esiste ed andremo ad arrestare in flagranza uno dei rei.



Dichiarazione di Arresto e Mandato di Cattura

In Nome del Popolo Italiano e della sua Costituzione Repubblicana art. 283 Codice Penale (che punisce le violazioni della Costituzione) e artt. 382, 383 del codice di Procedura Penale

i latori del presente mandato

DICHIARANO IN STATO D'ARRESTO

Salvatore Vecchione, Procuratore Capo pro-tempore della Procura della Repubblica di Roma per aver violato i seguenti articoli della Costituzione Italiana: 68, 70, 71, 76, 77, 78, 94, 101, 112 e gli articoli 110 - 283 del vigente Codice Penale italiano, che puniscono le dette violazioni della Costituzione italiana, con procedibilità d'ufficio, obbligo di arresto, giudizio in Corte d'Assise e carcere non inferiore a anni dodici. La narrativa delle suddette violazioni è indicata nella documentazione allegata

E INVITANO

lo stesso Salvatore Vecchione a lasciarsi accompagnare presso il più vicino posto di Polizia Giudiziaria senza opporre resistenza, per essere consegnato alla competente autorità che, in applicazione dell'art. 383 del vigente codice italiano di Procedura Penale, deve dare agli esecutori dell'arresto la ricevuta e/o verbale di presa in consegna della persona arrestata, con le motivazioni scritte sul presente atto giudiziario.

Data e luogo dell'arresto: Roma, 8 giugno 2000



Note allegate:

1- I Parlamentari ricevono i voti dal popolo italiano per esercitare la sovranità della Repubblica Italiana, in nome del popolo, nelle forme e nei limiti della Costituzione italiana, come è scritto nei suoi articoli 1 e 48;

2- La Costituzione italiana è la prima legge della Repubblica italiana, entrata in vigore il 1 gennaio 1948;

3- L'art. 283 del vigente Codice Penale italiano, punisce con procedibilità d'ufficio, obbligo di arresto, giudizio in corte d'assise e carcere non inferiore a dodici anni, chiunque commette fatti diretti a mutare la costituzione italiana in modo non previsto dal suo art. 138;

4- L'art. 112 della Costituzione italiana fa obbligo ai pubblici ministeri (ruolo questo svolto abitualmente dai procuratori della Repubblica) di iniziare l'azione penale; il Procuratore Vecchione è in flagranza avendo omesso l'azione penale nei confronti dei responsabili del Governo;

5- L'art. 68 della costituzione italiana stabilisce che i parlamentari in flagranza di reato possono essere arrestati senza l'autorizzazione del parlamento italiano;

6- Romano Prodi, in continuazione delle abitudini criminali dei suoi predecessori, ha violato l'art. 94 della costituzione italiana e con ciò l'art. 283 del codice penale, quando si è dimesso da Capo del Governo dichiarando falsamente a Oscar Luigi Scalfaro che i motivi delle dimissioni erano quelli di non avere più la fiducia del Parlamento, fiducia che invece aveva perché non gli era stata tolta con l'unica procedura valida ossia la mozione motivata di sfiducia prevista dal detto art. 94 della Costituzione italiana;

7- Oscar Luigi Scalfaro ex Capo dello Stato italiano aveva dato incarico a D'Alema di formare un nuovo Governo quando esisteva ancora quello di Romano Prodi, rendendosi con ciò complice nel detto delitto compiuto da Romano Prodi e responsabile di alto tradimento della Costituzione;

8- D'Alema e il suo Governo avevano accettato l'incarico avuto da Oscar Luigi Scalfaro di formare un nuovo Governo e lo hanno formato quando esisteva ancora quello di Romano Prodi mai sfiduciato dal Parlamento con la mozione motivata di sfiducia prevista dall'art. 94 della Costituzione;

9- I parlamentari hanno dato la fiducia al Governo D'Alema senza toglierla prima al Governo Prodi, rendendosi con ciò complici nei suddetti delitti di Romano Prodi, Oscar Luigi Scalfaro, D'Alema ed il suo Governo;

10- Il Governo D'Alema ha messo l'Italia in stato di guerra contro la Serbia dando alla Nato le Forze Armate dell'Aeronautica Militare Italiana, senza la delibera del Parlamento prevista dall'art. 78 della Costituzione italiana e questa violazione della Costituzione italiana deve essere punita dall'art. 283 del vigente Codice Penale italiano;

11- I Parlamentari non hanno preso l'iniziativa di legge prevista dagli articoli 71 e 94 della Costituzione italiana per sfiduciare il Governo D'Alema responsabile dei suddetti reati;

12- I Presidenti della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro e Carlo Azeglio Ciampi, a capo delle Forze Armate (art. 87 della Costituzione) non hanno sciolto il Parlamento responsabile dei delitti di cui sopra, non hanno ritirato l'aeronautica militare dall'illegale stato di guerra e sono quindi punibili con l'art. 283 del vigente codice penale italiano;

13- I Pubblici Ministeri, ruolo svolto abitualmente dai Procuratori della Repubblica, non hanno iniziato l'azione penale contro i responsabili dei suddetti crimini, prevista obbligatoriamente dall'art. 112 della Costituzione italiana e regolata dall'art.283 del vigente codice penale italiano;

14- I Pubblici Ministeri, ruolo svolto abitualmente dai Procuratori della Repubblica, non hanno iniziato l'azione penale contro i responsabili dei suddetti crimini, prevista obbligatoriamente dall'art. 112 della Costituzione italiana e regolata dall'art.283 del vigente codice penale italiano, NEANCHE CONTRO I POLITICI CONDANNATI DALLA CORTE COSTITUZIONALE CON SENTENZA n. 360/96 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n.44 del 30 ottobre 1996, per violazioni continuate della Costituzione italiana;

15- I Pubblici Ministeri ossia i Procuratori della Repubblica svolgenti questo ruolo, devono essere puniti loro stessi dall'art. 283 del vigente codice penale per non averlo applicato come detto sopra;

16- L'art. 382 del vigente codice italiano di Procedura Penale stabilisce che la flagranza di reato dura fino a quando il reato permane;

17- I responsabili dei suddetti delitti sono in flagranza di reato fino a quando:

A) Non viene iniziata l'azione penale contro D'Alema e Scalfaro;

B) I Procuratori della Repubblica non iniziano l'azione penale contro i violatori dell'art.283 del vigente Codice Penale italiano;

18- La polizia Giudiziaria (Polizia di Stato, Carabinieri, Guardia di Finanza) pur essendo a disposizione dei suddetti criminali Procuratori della Repubblica in base all'art. 109 della Costituzione italiana, deve agire anche autonomamente ed arrestare chiunque si trova in flagranza di reato con obbligo di arresto, in osservanza degli articoli 55 e 380 del vigente Codice di Procedura Penale italiano;

19- I Sindaci, parte del quinto organo costituzionale dello Stato italiano, non hanno usato la Polizia Giudiziaria Municipale ai loro ordini diretti per arrestare i suddetti violatori della Costituzione italiana, diventando con ciò loro complici nella violazione dell'art.283 del Codice Penale;

20- L'art. 383 del vigente Codice italiano di Procedura Penale dà facoltà ai privati cittadini di arrestare chiunque e quindi anche i Parlamentari, si trovi in flagranza di reato perseguibile d'ufficio con obbligo di arresto;

21- Anche il popolo italiano ha diritto all'informazione in forza dell'art. 19 della dichiarazione dell'ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) e della sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 94/1977;

22- Dal 1948 ad oggi i mezzi di pubblica informazione non hanno fatto conoscere al popolo italiano quanto scritto sopra, col disastroso risultato che:

A) La Polizia Giudiziaria non interviene contro i politici eletti dal Popolo in attesa che intervenga il Popolo Sovrano dell'Italia;

[La Polizia Giudiziaria teme giustamente che i mezzi di informazione in omertà criminale con i politici colpevoli, dicano al Popolo, all'oscuro della verità, che il loro intervento è un colpo di Stato]

B) Il Popolo Sovrano viene costretto ad intervenire direttamente con l'art. 383 suddetto in applicazione dell'art. 283 del vigente Codice Penale a difesa della Costituzione italiana, della Democrazia Rappresentativa e del Voto, arrestando il Procuratore Capo di Roma che non ha esercitato l'azione penale (Cost. it. art. 112)



Allegato - prova n.1 dell'associazione a delinquere tra i criminali violatori della Costituzione e il  Sig. Vecchione:

PROCURA DELLA REPUBBLICA - Presso il Tribunale di Roma

n 9521/99R

IL PUBBLICO MINISTERO [Procuratore pro-tempore]

osserva :

I. Gli esposti—denuncia si presentano oggettivamente generici e apodittici e come tali inidonei alla attribuzione di responsabilità personali per le affermate ipotesi — tra le altre — previste dagli artt. 283, 287, 422 c.p sia nei confronti del Presidente del Consiglio protempore sia nei confronti di altri componenti del Governo.

2. 1 fatti oggetto di doglianza presentano connotati che non possono essere ricondotti alla giurisdizione della magistratura ordinaria: essi. infatti, sono riferibili a interessi politici essenziali dello Stato e a scelte di valenza squisitamente costituzionale eseguite per effetto di impegni assunti nell’ambito di organismi internazionali (sicchè l’A.G.O. verrebbe a compiere valutazioni sui contenuti di impegni e obblighi conseguenti a trattati internazionali; così travalicando, paradossalmente, addirittura il principio di sovranità).

Si ritiene, quindi, che le denuncie siano manifestamente infondate non solo in fatto ma anche in punto di giurisdizione.

Si ritiene di omettere la comunicazione di cui all’ art. 6 Cpv. L1/89 agli esponenti non rivestendo essi la qualità di "soggetti interessati". E’ evidente, invero, che questi ultimi non possono essere individuati con i soggetti che siano meri "esponenti o "denunzianti" (in tal caso ogni cittadino sarebbe portatore di siffatto "interesse"). In realtà la categoria indicata dalla L.1/89 cit. non può che essere ricondotta ai Concetti del diritto processuale ordinario e in particolare alla norma dell’art. 408/2 c.p.p. sicché il denunciante (o l’esponente) deve essere portatore di un interesse specifico qual’ è quello della "persona offesa" e/o del soggetto passivo del reato. Qualità che nel caso in questione è palesemente insussistente.

Roma, 1 luglio 1999

IL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA [PRO-TEMPORE]

 - Salvatore Vecchione -