Il silenzio è d'uranio e Golden Boy - di Lorenzo Sani

Il silenzio è d'uranio
di Lorenzo Sani

ROMA - Mutismo e rassegnazione. I più lisi stereotipi del nonnismo da caserma sono oggi lo strisciante diktat imposto, meglio, "caldamente consigliato",ai nostri militari sulla vicenda uranio. Anche a quelli che, rientrati dalle missioni nei Balcani, si riutrovanoa combattere contro gravi patologie del sistema immunitario.

Situazioni che in parte abbiamo verificato anche personalmente: parlare può significare, in casi estremi, anche la perdita del posto di lavoro, o del riconoscimento della causa di servizio.

Mentre il mondo si interroga spaccandosi in due come la comunità scientifica sui rischi per la salute della scoria nucleare riciclata dall'industria bellica e si moltiplicano in Italia i fascicoli aperti nelle Procure (Cagliari, Roma, Modena, Bari, Padova), da più parti registriamo il tentativo di mettere la sordina alle urla nel silenzio della truppa. Giuseppe Pesciaioli, delegato del Cocer, è stato denunciato alla Procura militare di Roma dal suo comando (a Foligno) per un articolo scritto sul quotidiano Liberazione. Aveva criticato i vertici militari sul caso uranio.

«Alla base di questa iniziativa - ha dichiarato - c'è la volontà di far tacere chiunque abbia l'ardire di rivendicare il diritto all'informazione, alla giustizia, alla verità, alla tutela del diritto alla salute». Ma registramo anche lo strano caso denunciato da Giovanni Pintus, fratello di Giuseppe, di servizio al poligono Nato di Capo Teulada, stroncato dalla leucemia nel maggio del '94.

«Nel foglio matricolare di mio fratello non c'è traccia del servizio prestato per oltre un mese, allo scoppio della Guerra del Golfo, presso porto e aeroporto di Cagliari, mentre ne figura uno di cinque giorni a Sassari. In quel documento non dovrebbe esserci tutto?».

I militari non parlano, non solo perchè lo impone «un regolamento di disciplina che risale al periodo fascista», afferma Angelo Tartaglia, legale dell'Osservatorio per la tutela della salute delle Forze Armate, «ma anche perchè quello delle pressioni è un atteggiamento diffuso».

Sul riconoscimento della causa di servizio, poi, c'è molto da chiarire.

«Il legislatore ha attribuito una potestà incredibile anche ai collegi medici», prosegue Tartaglia, «ma il parere della Commissione medica ospedaliera non è vincolante: la valutazione tecnica, sulla base delle tabelle ministeriali, spetta al Comitato per le pensioni privilegiate ordinarie. E secondo quelle tabelle qualsiasi tipo di tumore non è ascrivibile a categoria».

Anche per il riconoscimento del danno biologico si opera in base a tabelle redatte dal ministero, risultato di un mix tra il calcolo a punto e la media ponderata.

«Sono gli stessi criteri adottati oggi dai giudici di pace per l'infortunistica stradale, - prosegue - mentre coi militari ci troviamo di fronte ad un'ipotesi assolutamente atipica. Non possono essere messi sullo stesso piano il danno biologico di un soldato in missione, col colpo di frusta di un automobilista tamponato. Ecco perchè, per i casi che l'Osservatorio sta seguendo, io chiederò un danno di 5 miliardi».



Golden Boy (scout)
di  Lorenzo Sani

ROMA - Cambiano i governi, ma Gianni Rivera, esattamente come quando calcava i campi da calcio, è un titolare inammovibile alla Difesa. Leggendo questa breve intervista, forse, si capisce anche perchè.  Sottosegretario dal febbraio '96, 1549 giorni cambiando tre ministri (Andreatta, Scognamiglio, Mattarella) e tre esecutivi (Prodi, D'Alema, Amato): a buon diritto incarna una continuità che coincide con le nostre missioni nei Balcani, quindi un riferimento importante per fare luce sulle polemiche scatenate dal caso uranio.

On. Rivera, ritiene possano esserci stati difetti di comunicazione tra vertici militari e referenti politici?

«Non penso, ma vado per ipotesi».

Secondo lei, quindi, nemmeno i comandanti italiani delle basi italiane da cui sono partiti i raid per la Bosnia sapevano che veniva impiegato munizionamento all'uranio impoverito?

«Non sono in grado di dare una risposta ad un problema che non conosco».

Noi pubblicammo lo scorso 18 novembre un documento del Dipartimento della Difesa americano che illustrava, a proposito dell'Operazione Deleberate Force in Bosnia, l'uso di proiettili anticarro al DU e 13 Tomahawk che contengono 312 chili di uranio l'uno. Per un mese il ministro Mattarella ha continuato a negare che in Bosniafossero stati impiegati quegli armamenti. Si leggono i giornali al Ministero della Difesa?

«Dal momento che ancora adesso nessuno è in grado di stabilire che tipo di pericolosità comporti l'uranio impoverito, anche se uno lo scrive sulle prime pagine di tutti i giornali non cambia il problema. Se all'interno nessuno considera la questione pericolosa cosa c'entra se lo scrivono i giornali? Il problema esiste se emerge una certezza scientifica che ne stabilisce la pericolosità».

La domanda era relativa all'impiego di certe munizioni, non agli effetti che sono tuttora al vaglio della Commissione istituita da Mattarella. «Il Ministro ha sempre comunicato le cose che sapeva.

 Su queste armi non si conosce ancora niente di certo, bisogna aspettare che la scienza, come ha giustamente dichiarato Mattarella, dia una risposta precisa».

Negli Usa il dibattito sull'uranio impoverito va avanti da anni sulla base di tesi decisamente contrapposte, non di punti di vista diversi...

«Appunto, su queste problematiche la certezza non ce l'ha nessuno».