Liberazione
6 gennaio
Mercurio e Du 238 nei delfini morti dopo la fine della guerra sui Balcani
Adriatico, un mare d’uranio
Quante bombe sono state scaricate nelle nostre acque dalla Nato?
http://www.liberazione.it/giornale/06-01sab/PRIPIANO/PRP-3/APRE.htm

Zuppa all’uranio o mercurio all’acqua pazza? Non solo ad est dell’Adriatico si guarda fiorire ora, a diciotto mesi dall’ultimo raid sui Balcani, gli ultimi frutti avvelenati della primavera di bombe Nato. Anche da questa parte del mare, dalla parte di chi offriva rampe di lancio e applausi di governo ai jet alleati, giungono gli effetti delle armi radioattive. Vi ricordate le bombe intelligenti? Erano bombe all’uranio. Vi ricordate la loro non sempre infallibile traiettoria? Per controllarla serviva il mercurio. Ecco: uno degli effetti collaterali di quella guerra spacciata come “giusta” è che quell’uranio e quel mercurio rischiano di finire ora sulle nostre tavole. Sui fondali dell’Adriatico giacciono infatti quantità non casualmente indefinite di ordigni radioattivi, gentilmente scaricati in acqua, a poca distanza dalle nostre coste, dagli aerei Usa subito prima e subito dopo ogni bombardamento. Ordigni che una inefficace quanto sbandierata operazione governativa di bonifica non è riuscita a rimuovere e che, abbandonati in fondo al mare a far compagnia alle vecchie bombe della seconda guerra mondiale, da mesi espongono fauna e flora marina alla contaminazione. Si può perdere giorni a cercare conferma di una minaccia così concreta e così allarmante per la popolazione tra i fiumi di inchiostro spesi prima e dopo il conflitto dal governo che quella guerra aveva voluto. Nemmeno una parola sui pesci radioattivi. Eppure, chi si è preso la briga di compiere una minima verifica analizzando le carcasse dei delfini morti in Adriatico negli ultimi due anni, non ci ha messo molto a scoprire nel loro grasso quantità di uranio e mercurio sufficienti ad uccidere un essere umano. La ricerca è stata compiuta dal centro Studi Cetacei di Milano. Nessuno ne ha parlato. Rifondazione comunista è stata l’unica a dare l’allarme. Giorgio Varisco, consigliere comunale del Prc a Chioggia, ha presentato un’interpellanza urgente al sindaco per sollecitare una immediata opera di bonifica. «I pescherecci continuano a pescare bombe» denuncia Varisco. Ma l’anno scorso la Marina militare non aveva fatto intervenire i suoi cacciamine? «Sì, ma hanno fatto l’unica cosa che sapevano fare e che gli scienziati avevano chiesto di non fare: hanno fatto brillare le bombe lì dove l’hanno trovate rilasciando in mare tutte le sostanze tossiche che contenevano».

All’inquinamento provocato dagli ordigni fatti saltare dalla Marina - inquinamento causato non solo dall’uranio, che in acqua è trasformato in forma organica dall’attività batterica e si rende così immediatamente disponibile per gli organi viventi, ma anche dal berillio, altro composto cancerogeno, il tritolo e il non certo salutare fosforo bianco - si aggiunge la minaccia costituita dalle bombe mai recuperate dai cacciamine. Quante sono? La Nato assicura pochissime e tutte concentrate in sei delimitate zone di cui ha fornito la mappa nel maggio ’99, cioè solo dopo il ferimento di tre pescatori di Chioggia per l’esplosione di una bomba rimasta impigliata nelle reti. Mappa dettagliata, una volta tanto, ma solo perché completamente inutile. Una cartina che indica profondità delle acque e diametro al millimetro di sei aree al largo di Chioggia, Rimini, Pesaro, Bari, Brindisi e Santa Maria di Leuca e che non serve assolutamente a nulla visto che gli ordigni hanno la cattiva abitudine di andarsene a spasso lungo i fondali trasportati dalle correnti. Quante sono, allora, queste bombe? Non si sa, è probabile che non si saprà mai, ma proviamo a ricordare il primo mese di guerra. Allora i generali Nato si lamentavano delle brutte condizioni atmosferiche sulla Serbia che costringevano i bombardieri ad atterrare senza aver portato a termine la loro missione. Per una questione di sicurezza quegli aerei non potevano toccare terra con gli ordigni ancora al loro posto. Indovinate dove li scaricavano? Se aggiungiamo a queste, le munizioni finite in mare durante i tiri di prova che precedono ogni attacco, 2mila-4mila colpi al minuto, è davvero difficile credere che l’Adriatico non sia un mare d’uranio. Ufficialmente l’allarme per le bombe finite nelle reti - e il fermo pesca conseguente per le navi a strascico durato da giugno a settembre ’99 per il quale il contributo governativo, ci assicura un pescatore di Ancona, è arrivato solo nel luglio 2000 - non sono state molte le segnalazioni di ordigni ritrovati. L’ultima è dello scorso giugno, al largo di Caorle, arrivava da un peschereccio di Chioggia. Basta perdere un pomeriggio nei porti però, per capire quale realtà si nasconde dietro questo apparente silenzio: i pescatori trovano abitualmente bombe nelle reti, ma piuttosto che esporsi al rischio di ulteriori periodi di fermo pesca e all’eterna attesa dei rimborsi governativi, preferiscono ributtare tutto in acqua e tacere. E così, il mare trasformato anche da quella guerra in un fossato a protezione della fortezza Europa dai nuovi profughi, continua a custodire l’immondizia Nato e ad allevare tra le sue onde pesci radioattivi.

Angela Nocioni