Liberazione
6 gennaio
Dalle bombe a grappolo all’uranio impoverito
La Mezzaluna rossa chiede all’Oms e ad altri enti di svolgere indagini sulle armi dello stato ebraico
http://www.liberazione.it/giornale/06-01sab/MONDO/MON-2/GRIMA.htm

Nostro servizio Gerusalemme La vicenda uranio 238 (U238) sta sconvolgendo l’Europa e seminando salutari contraddizioni, che si potrebbero ben definire interimperialistiche, tra europei e statunitensi. Di questo megacrimine Nato e Usa contro l’umanità, israeliani e palestinesi non hanno avuto sentore - silenzio totale e forse interessato dei media d’Israele - fino a quando la Cnn, sabato mattina, non ha fatto menzione del subbuglio scatenato in Italia e poi in tutta Europa dall’incalzare dei decessi di militari reduci dalla Jugoslavia (e innescato, come tutti i compagni sanno, dalle rivelazioni di Liberazione). Se ancora oggi il Pentagono ha la faccia di bronzo di smentire gli effetti dannosi del metallo che Ramsey Clark ha chiamato “del disonore”, peraltro smentito dai manuali e comunicati interni dello stesso Pentagono che, ai soli soldati Usa, raccomandavano rigorosissime precauzioni contro la sua minaccia chimica e radioattiva, figuriamoci Tsahal, l’esercito israeliano rotto ad ogni ignominia contro la vita dei palestinesi. L’International Action Center (Iac) di Ramsey Clark, poche settimane fa, aveva diffuso un drammatico documento con le prove (avvallate dallo stesso Pentagono, oltreché dall’Istituto di ricerche olandese Laka), della fornitura fin dal 1973 di munizioni all’uranio 238 alle Ffaa israeliane per gli elicotteri Apache e i carri Abrams. Un accertamento avrebbe potuto essere compiuto dagli esperti dell’Iac, ma i loro reperti (schegge e materiali colpiti) sono stati sequestrati all’aeroporto di Tel Aviv. Il modo con cui ho visto polverizzati edifici palestinesi (l’ufficio di Arafat, la caserma del linciaggio di due spie israeliane a Ramallah, molte case colpite dai tank con proiettili e dai razzi degli Apache), ricordava da vicino le condizioni in cui erano ridotte simili costruzioni in Iraq e Jugoslavia, dove poi si era rilevata altissima radioattività. Ovviamente i palestinesi, con poco più degli occhi per piangere e i sassi per sentirsi vivere, non possiedono misuratori delle radiazioni. Ma Mahmud Alul, governatore della provincia di Nablus, un ufficiale esperto di armamenti, mi ha detto di essere convinto che nessuna delle armi più avanzate offerte dalla tecnologia di sterminio di massa è assente dagli arsenali israeliani e che tutte sono state utilizzate. E’ il tipo dell’impatto, altamente penetrante e immediatamente incendiario, che fa ritenere l’uso di razzi all’U238 pratica corrente. La Nato e gli Usa hanno ammesso di aver sparato proiettili all’U238, ma mantengono un assoluto silenzio sui missili Tomahawk, pure muniti di uranio sia nell’ogiva, sia come elemento di bilanciamento. E sono questi i missili in dotazione ai mezzi che sparano sui civili palestinesi e sui loro edifici. Le condizioni in cui opera una Mezzaluna Rossa palestinese (l’equivalente della nostra Croce Rossa), nella totale mancanza di mezzi e aiuti, non consentono neppure di intervenire con una ricerca epidemiologica, che del resto produrrebbe risultati soltanto dopo i lunghi tempi dell’incubazione. Ma il presidente dell’ente, a Hebron, ci ha chiesto di diffondere un appello alle autorità sanitarie competenti (già lo ha rivolto all’Organizzazione Mondiale della Sanità) perché si svolgano immediate indagini sul campo. «Chi non si fa scrupoli di utilizzare bombe a grappolo (contro la Resistenza libanese), pallottole dum-dum e a farfalla (che esplodono all’interno dell’organismo colpito), tutte proibite dalle convenzioni, figuriamoci se esita davanti all’uso, ormai universale, di armi anche più micidiali, presenti nei propri depositi e sui propri elicotteri e tank. Del resto, quanto ci ha messo Israele ad ammettere di essere, dagli anni ’60, una potenza nucleare? C’è voluto il sacrificio dell’eroico Mordechai Vanunu, in isolamento da 14 anni per aver rivelato al mondo questo segreto».

Fulvio Grimaldi