Liberazione
6 gennaio
Nonostante i test dell’Onu, Washington liquida i malumori degli alleati e rifiuta la messa al bando delle armi
all’uranio impoverito.
Unica concessione, la futura diffusione delle mappe dei bombardamenti in Bosnia
Usa, schiaffo all’Europa

Le armi all’uranio impoverito? Legali, affatto rischiose e dunque del tutto legittime. I casi di leucemia in Europa? Una coincidenza tutta da dimostrare e una polemica pretestuosa. Eccola la risposta degli Stati Uniti ad un’Europa che, alle prese con l’allarme per la cosiddetta “epidemia dei Balcani”, osa chiedere spiegazioni e lancia pur timide accuse. Così, mentre dall’Italia alla Francia, dalla Gran Bretagna al Portogallo, i casi sospetti si moltiplicano e i governi ordinano controlli su tutti i militari reduci da missioni nei Balcani, Washington minimizza e rispedisce al mittente le accuse. E al governo italiano che chiede una moratoria per questo tipo di armi, fa sapere che la questione non è all’ordine del giorno e che non ci sono motivi per prenderla in considerazione. Poi, dopo aver rimesso in riga gli alleati indisciplinati e serrato i ranghi, arriva una concessione: la Nato - assicura il segretario generale George Robertson in una lettera inviata al ministro della Difesa, Sergio Mattarella - esaudirà la richiesta italiana di ottenere la mappa dei bersagli colpiti in Bosnia con proiettili all’uranio. Anche se - si è subito affrettato a precisare Robertson - «ci vorrà del tempo», ma non è dato sapere quanto, prima di raccogliere tutti i dati. Sino a questo momento la Nato ha reso pubbliche solo le mappe relative ai bombardamenti nel Kosovo, mentre le cartine delle operazioni in Bosnia - dove tra il ’94 e il ’95 sono stati utilizzati circa 10.800 proiettili all’uranio - sono rimaste segrete. La diffusione delle mappe del Kosovo ha peraltro rivelato come Washington - dopo i bombardamenti - si sia premurata di assegnare ai propri contingenti le zone non inquinate dalle armi all’uranio, lasciando le aree più a rischio ai meno informati soldati italiani ed europei. Le stesse Nazioni Unite, che stanno studiando l’impatto dell’uranio sulla salute e l’ambiente, hanno fatto sapere ieri che, in Kosovo, 8 degli 11 siti visitati dai tecnici Onu e colpiti nel ’99 dai proiettili Nato, registrano «un leggero aumento delle radiazioni beta nel punto dell’impatto dei proiettili o nelle vicinanze». Non solo, ma in questi siti sono stati trovati ancora resti dei proiettili, un fatto che il capo della missione Onu, Pekka Haavisto, considera «sorprendente, ad un anno e mezzo dalla fine della guerra». Da notare che di queste 11 zone, cinque si trovano nella zona assegnata all’Italia e sei nel settore tedesco. Il Pentagono continua comunque a recitare il solito, immutabile copione: assicurare a parole disponibilità e collaborazione, ma negare ad oltranza che il contatto con le armi all’uranio sia la causa di tumori. E per farlo è sceso in campo lo stesso portavoce del Pentagono, Ken Bacon: «Non c’è alcuna conseguenza negativa per la salute - ha detto - e tutti i test medici fatti sui soldati americani nei Balcani non hanno mostrato alcuna anomalia sanitaria. I nostri ricercatori non hanno trovato alcuna connessione tra i tumori e l’uranio impoverito». Poco importa per Bacon che negli Stati Uniti migliaia di militari reduci dall’Iraq - sul cui territorio sono stati sperimentati per la prima volta i proiettili all’uranio - si siano poi ammalati con sintomi oramai noti con il nome di «sindrome del Golfo». La Commissione istituita da Clinton ha ammesso che c’è una relazione tra quelle malattie e la permanenza nell’area del Golfo Persico, ma a questa implicita ammissione ha rimediato con un’acrobazia verbale, evitando accuratamente di associare la sindrome all’uranio impoverito. Ma non basta. La Nato, chiamata in causa nella sua componente americana, ora si difende attaccando e ricorda agli alleati di memoria corta che nessun governo ha mai chiesto di mettere al bando le armi all’uranio che pertanto sono e restano “armi legali” per le quali non è prevista alcuna moratoria internazionale. Con queste premesse, la riunione dell’Alleanza chiesta e ottenuta dall’Italia per il prossimo martedì, lascia spazio - al di là delle rassicurazioni formali degli Usa - a ben poche aspettative. Intanto la Francia, pur smorzando i toni, insiste nell’appello lanciato giovedì per invitare Washington alla massima collaborazione. «Per il momento nulla prova che ci sia un legame di causa-effetto tra le bombe americane ad uranio impoverito e i casi di leucemia finora riscontrati tra i soldati francesi andati in missione nell’ex Jugoslavia - ha detto ieri il ministro della Difesa Alain Richard -. Ma chiediamo comunque agli Stati Uniti di aprire i loro dossier, occorre obiettività e trasparenza». Ma in attesa di risposte dagli Usa, in Europa le segnalazioni di casi sospetti tra i militari che hanno partecipato alle missioni in Bosnia e in Kosovo non si fermano. C’è un primo caso denunciato in Gran Bretagna, nuovi malati in Spagna, Ungheria, Grecia e Olanda, controlli in Russia e ancora test a tappeto in tutti i Paesi europei.

Stefania Podda