L’informazione “impoverita”
http://www.liberazione.it/giornale/04-01gio/INFORMAZ/INF-1/spetta.htm

Lavorare e impegnarsi in una piccola testata, come la nostra, può causare a volte un sottile disagio. Tentare di uscire dal coro, di non confondersi con un giornalismo che mortifica la curiosità e la voglia di conoscere, sia per chi lo fa che per chi lo subisce: cercare di ridefinire un proprio ruolo autonomo, nel momento di massima crisi del sistema del potere politico (sempre più privo di identità) e del suo intreccio con il potere economico: tentare di dare un’informazione che sappia rimettere in moto le idee, le intelligenze, le libertà: insomma questo nostro lavoro, “impegnato e faticone” spesso ci procura un frustrante stato di malessere, una sindrome da Piccolo Lord, solo e incompreso, un disagio appunto. Poi però ci sono giorni come questi nei quali scopri che il tuo lavoro (dell’intera redazione di Liberazione) impegnato e faticone ha dato lentamente e faticosamente i suoi frutti. Stiamo parlando delle bombe all’uranio. Non è per il consolatorio quanto infantilmente narcisistico “noi lo avevamo detto” che abbiamo fatto questa premessa. Ma per sano orgoglio di testata, che per noi pochi, poveri (e comunisti) vale molto di più di un premio di produzione regalato ai tanti genuflessi alla logica di mercato. Insomma vedere oggi e da giorni tutti i giornali italiani aprire a nove colonne sul dramma dei soldati colpiti a morte dall’uso di bombe all’uranio ci fa sentire con la coscienza a posto. Due mesi fa avevamo dedicato la copertina ai “soldati contaminati” dall’uranio impoverito pubblicando in esclusiva un documento dello Stato Maggiore dell’Esercito che ammetteva la pericolosità delle radiazioni nelle cosiddette missioni “umanitarie”. Sfogliando la nostra collezione abbiamo poi trovato il numero del 18 aprile del ’99 sulla cui prima pagina a titoli cubitali si denunciavano “le bombe all’uranio” e la confessione della Nato all’uso di micidiali armi contro i Serbi. Certo quella voglia di denunciare l’insana guerra (e mai come in quel periodo ci siamo sentiti soli in un panorama informativo che ubbidiva ai comunicati propagandistici della Nato) nasceva da lontano: dal rifiuto di operazioni di morte e distruzione decise dagli Stati Uniti con la complicità di alleati servili: come quella perpetrata nel Golfo che non ci sembra abbia risolto il problema Hussein ma che al contrario oltre alle tante vittime irachene ha visto militari inglesi e americani reduci dalla guerra morire per malattie misteriose o per cancro. Ce lo ricordò il 15 aprile del ’99 una donna americana nel bel numero che la squadra di Moby Dick realizzò da Belgrado. Carol Picou, intervistata da Corrado Formigli, aveva lavorato come militare negli ospedali da campo in Iraq e raccontava come subito dopo gli scontri soldati americani accusavano strani sintomi, come fosse rimasta colpita dai cadaveri degli iracheni, neri, nerissimi o dalla distruzione di carri armati perforati come fossero di burro. Denunciò anche le gravi malformazioni, le leucemie, i tumori che uccidevano come mosche i bambini: parlò esplicitamente di bombe all’uranio impoverito. Pensate forse che quella precisa e drammatica denuncia abbia avuto all’epoca qualche effetto? Pensate che altri giornali abbiano deciso di tornare sul tema o che alcuni nostri politici di un governo di sinistra abbiano sentito il bisogno di capire di più? No, niente di tutto questo perché l’Italia era impegnata con la Nato e in prima fila nella guerra “umanitaria”. D’altronde anche le nostre severe posizioni o gli articoli appassionati del nostro Fulvio Grimaldi sull’uso dell’uranio impoverito nel Golfo come in Bosnia, come nei Balcani sono caduti nel vuoto, nell’indifferenza della grande stampa, tutta pronta ad ubbidir tacendo. Oggi che purtroppo un sesto giovane soldato italiano è morto per leucemia - dopo essere stato più volte in missione in Bosnia - le bombe o i proiettili all’uranio impoverito hanno conquistato finalmente la prima pagina. Strano modo di lavorare questo: vecchio vizio del giornalismo nostrano che preferisce sbattere il clandestino in prima pagina perché reo di un incidente stradale, piuttosto che cercare di indagare e far capire il fenomeno degli immigrati! Comunque ce l’hanno fatta a sollevare l’odiosa coperta del silenzio sulla guerra contro la Serbia voluta dalla Nato. «Non si mandano ragazzi venuti dal Sud, dalle regioni più povere d’Italia a rischiare una contaminazione radioattiva di cui non si conoscono nemmeno le dimensioni. Perché se non sapevano è grave, se sapevano lo è ancora di più». Sono parole di don Vinicio Albanesi, responsabile della Comunità di Capodarco international, presente in Kosovo, tratte da un’intervista alla Stampa. Non ha toni così intensi e amari il ministro della Difesa Sergio Mattarella che in una lunga intervista al Corriere della Sera di ieri usa una prudenza e una pacatezza che sfiora il cinismo: tanto da far intendere che i soldati morti sono il prezzo che si doveva pagare di fronte al rischio di un massiccio arrivo di profughi nel nostro paese. Chiede, però, la messa al bando dei proiettili all’uranio impoverito: c’è da chiedergli se non era il caso di farlo prima, visto che non dubitiamo che il ministro dell’epoca Scognamiglio ne fosse a conoscenza e lo avrà pur detto al presidente del Consiglio D’Alema e al suo più stretto collaboratore, Sergio Mattarella. D’altronde se noi di Liberazione denunciavamo la presenza di proiettili all’uranio sul Kosovo, vi immaginate se gli alleati della Nato non ne fossero a conoscenza! Il prossimo numero di Famiglia Cristiana, ad esempio, pubblicherà una lettera del 7 febbraio 2000 nella quale Robertson, segretario generale della Nato, confermava a Kofi Annan, segretario dell’Onu, l’uso indiscriminato di 31mila proiettili all’uranio impoverito (la stessa lettera che trovate oggi su questo giornale a pagina 14). E’ possibile, si chiede retoricamente Famiglia Cristiana, che i governanti italiani e di altri paesi europei non sapessero? Purtroppo sapevano e mentirono o non risposero mai sui danni che il «metallo del disonore» avrebbe potuto causare sui nostri soldati o sui volontari. E’ ancora una volta plateale la strumentalizzazione che del dramma tenta di fare il Giornale che cerca, tra l’altro, di far passare come una sua esclusiva il documento dei vertici militari sui rischi di ammalarsi di tumore, che Liberazione ha pubblicato due mesi fa. Comunque l’imbarazzo della maggioranza e la stessa guerra del Kosovo sono per Il Giornale e per Salvatore Scarpino che firma l’editoriale, da imputare al solo governo di sinistra. E che faceva o diceva Berlusconi quando i nostri ragazzi partivano per la guerra umanitaria? Libero di Feltri che con Il Messaggero è stato tra i primi a cogliere la gravità del fatto in tutti i suoi risvolti, sulla prima pagina di ieri, sotto la notizia dell’ultimo soldato morto fa un editoriale dal titolo «Una volta tanto ha ragione Bertinotti». Speravamo si trattasse di un ripensamento sulla inutile guerra e sulle denunce di Liberazione della presenza dell’uranio impoverito, invece si riferisce al commento del segretario della Rifondazione comunista al discorso di fine anno del presidente della Repubblica. Ci va bene lo stesso, però quando si accorgeranno che avevamo ragione anche su altri fronti?

   La spettatrice P. S. Visto che questa rubrica è scivolata nell’autocitazione (cosa che non amiamo, ma quando ce vo’, ce vo’ - come si dice a Roma) proseguiamo su questa china segnalandovi il bell’intervento di Paolo Mieli, che a notte inoltrata, come si usa fare in Rai per i programmi intelligenti e stimolanti, ha voluto ricordare la nostra iniziativa sull’apertura di un dibattito sulle foibe.