Uranio, documento top-secret accusa il governo italiano
Lo Stato Maggiore ammette la radioattività dei proiettili. Tragica smentita alle rassicurazioni di ministri e sottosegretari
http://www.liberazione.it/giornale/23-11gio/MONDO/MON-2/BASSO.htm

La clamorosa scoperta di un documento a firma Comando Forze di Proiezione italiano e datato 3 maggio 2000 getta una luce ancor più sinistra sulla tragica guerra “umanitaria” condotta dalla Nato in Kosovo. Nel testo - sei paginette dell’Ufficio Logistico dello Stato Maggiore, in parte pubblicato ieri da “Liberazione” - le autorità ammettono l’alta nocività del munizionamento all’uranio impoverito massicciamente utilizzato in quel conflitto. In particolare (prot. N.04236/318) si riconosce che «la pericolosità dell’uranio si esplica sia per via chimica che rappresenta la fonte di rischio più alta nel breve termine, sia per via radiologica, che può causare seri problemi nel lungo periodo. La maggiore pericolosità, per il tipo di radiazione emessa si sviluppa nei casi di irraggiamento interno(…) inalazione, ingestione, assorbimento attraverso ferite». L’inqualificabile ritardo nell’impartire disposizioni cautelative riapre quella che, ancora nella primavera scorsa, il sottosegretario alla Difesa Guerrini definiva incredibilmente «l’insensata polemica».

Nonostante il dipartimento della Difesa Usa abbia ammesso che in Somalia e Bosnia è stato usato munizionamento all’uranio impoverito e abbia impartito, già nel ’93, istruzioni cautelative ai propri contingenti, il nostro dicastero della Difesa, refrattario all’evidenza, smentisce il potente alleato. Con macabra ostinazione il ministro Mattarella sostiene che non c’è collegamento tra l’uso del munizionamento all’uranio impoverito e il linfogranuloma che, ad esempio, ha colpito il sottufficiale Antonacci e la leucemia che ha ucciso Salvatore Vacca: perché hanno «operato in Bosnia e non in Kosovo al di fuori delle zone di operazioni dove i Paesi alleati hanno usato munizioni a uranio impoverito». Certo è che il documento individua come «soggetto a rischio di contaminazione interna da uranio, colui che abbia soggiornato o operato in prossimità di un obiettivo colpito da munizionamento ad uranio impoverito o in area dove siano stati individuati proiettili a D. U. o frammenti di essi. Rientra in tale gruppo anche chi detiene impropriamente (?) proiettili inesplosi o frammenti di essi». E non risulta neanche che «le direttive che devono essere oggetto di dettagliate informazioni per il personale» siano state trasmesse anche ai militari e ai civili impegnati nella vigilanza di polveriere e depositi munizioni Nato, siti in cui è detenuto il micidiale munizionamento. Vertici militari e ministero della Difesa continuano a fingere di ignorare l’utilizzo sul territorio italiano del “metallo del disonore”. «La preoccupazione - insiste Falco Accame - riguarda anche molte zone italiane, quelle dove sono situati dei poligoni, specie in Sardegna e nel Triveneto. In Sardegna vengono scaricati da paesi alleati, che usano armi all’uranio impoverito, grandi quantitativi di proiettili specie a capo Teulada che è poligono militare terrestre, aereo e anche navale». Suona quindi come tragica conferma l’incoerente, confusa e poco plausibile smentita del Comando Militare della Sardegna sul normale uso di munizionamento all’U238 da parte di Usa e Paesi Nato. La Sardegna, infatti, sopporta il 52% dell’intero demanio militare adibito a immenso campo di perenni esperimenti, esercitazioni a fuoco e combattimenti simulati: 24.000 ettari di terra a fronte dei 16.000 dell’intera penisola; solo uno dei tratti di mare annessi al poligono interforze Salto di Quirra (Perdasdefofgu) supera con i suoi 2.800.000 ettari la superficie dell’isola. Il comando Forze di Proiezione avverte: «l rischio maggiore di contaminazione si potrà verificare in presenza di terreno secco e polveroso ed in condizioni che favoriscono la sospensione della polvere di uranio (vento, passaggio di veicoli etc.)», condizioni tipiche dell’ambiente dei poligoni sardi. Stranamente non è prevista la decontaminazione ambientale, sebbene si riconosca che «sia la polvere, sia i frammenti di uranio impoverito possono produrre contaminazione delle falde idriche e delle derrate alimentari». Non sappiamo se tali stazioni di bonifica siano già state attivate nell’inferno radioattivo dei Balcani. Di sicuro sappiamo che non esistono nei poligoni sardi. Da decenni, prima ancora che si parlasse di U238, la popolazione e la Regione sarda chiedono, invano, l’attivazione di un sistema di monitoraggio ambientale. Di sicuro sappiamo che il bersagliere Giuseppe Pintus che ha prestato servizio nella base di Capo Teulada è stato stroncato dalla leucemia nel 1994. «Non ha mai prestato servizio in Kosovo», tranquillizza il dicastero alla Difesa.

Mariella Cao