LAVORATORE - Settembre 2000
E SE UN KURSK SCOPPIASSE A TRIESTE? CHIEDIAMOLO AL PREFETTO

Nel nuovo disegno strategico mediterraneo seguito alla dissoluzione del Patto di Varsavia, l'Italia e i suoi alleati accompagnano anche con l'impiego attivo delle armi lo spostamento ad Est del baricentro politico-economico europeo e occidentale. L'Adriatico è quindi oggi un mare a rischio nucleare, in cui transitano navi militari a propulsione e a capacità nucleare, nonché dotate di munizionamento all'uranio DU238, con cui sono armati sia i missili Cruise e Tomahawk che gli elicotteri anticarro Nato. Sempre più spesso navi Nato di questo tipo, armate e in condizioni operative, fanno la loro comparsa nel golfo di Trieste. Trieste che non è più solo, quindi, uno scalo tecnico o un qualsiasi porto amico e alleato, ma in questo quadro è diventato un porto strategico e operativo Nato come La Spezia, Taranto, Napoli, La Maddalena. Attraccati alle banchine oppure in rada, queste unità fanno cambusa, bunkeraggio e rifornimenti, ma anche manutenzione e riparazioni, eseguite anche a terra nelle officine di alcune aziende di Muggia, dove ai cantieri S. Rocco fino al 10 settembre era ormeggiata la nave portaelicotteri Uss-Saipan. Tra l'altro, viene da chiedersi se siano stati previsti e predisposti, e da chi, dei sistemi di controllo, sia a bordo che a terra, di eventuale contaminazione nucleare per i materiali sottoposti a manutenzione e manipolazione, nonchè per il personale civile adibito ai lavori e per la cittadinanza, controlli che vadano oltre le assicurazioni (?) della Nato, anche alla luce di ciò che è accaduto con l'aviazione americana nella vicenda del Cermis.

Questa situazione comporta per la città una condizione di rischio nucleare oggettiva e permanente: un incidente non è da escludere, e la tragedia recente del sommergibile russo Kursk dovrebbe far riflettere. Sarebbe irresponsabile non dire che questi rischi li corriamo anche noi, con l'aggravante che qui le unità Nato non navigano nel deserto del Mare Artico ma in un braccio di mare tra i più frequentati del Mediterraneo.

Si può forse sostenere che le navi Nato siano più sicure, ma è falso affermare che sono sicure. Basti ricordare l'incidente occorso al sommergibile americano Scorpion nel '68 nel porto di Napoli, dove in seguito ad una collisione subì gravi danni nella zona dei propulsori nucleari. L'unità fu riparata alla meglio in attesa del suo rientro alla base oltre Atlantico, e nel viaggio esplose e affondò in mezzo all'oceano al largo delle Azzorre, assieme all'equipaggio, ai missili strategici nucleari e ai reattori di bordo, il 27 maggio 1968. La nave avrebbe potuto esplodere a Napoli, oppure a Taranto dove l'unità fece scalo, o dovunque nel Mediterraneo, con conseguenze immaginabili. Secondo il comandante Giuseppe Iezza, responsabile tecnico del gruppo sommergibili di Taranto dov'è la direzione della flotta sottomarini italiani, "Se c'è una dispersione nel reattore e' come se fuoriuscissero radiazioni da una centrale nucleare, sebbene di potenza più ridotta". E' il caso di ricordare che una dispersione di plutonio contaminerebbe il nostro mare per i prossimi 24.000 anni. E non parliamo qui delle conseguenze nel caso limite di esplosione dell'armamento nucleare, rischio reale sfiorato dalla Sicilia 25 ani fa.

Un altro gravissimo incidente, infatti, uno dei più drammatici allertamenti nucleari in assoluto, accadde il 22 settembre 1975, allorché nello Jonio, ad un centinaio di miglia dalle coste italiane (e in caso di esplosione nucleare 100 miglia sono un nonnulla), la portaerei Usa Kennedy si scontrò con l'incrociatore Usa Belknap: l'incendio che ne conseguì giunse a pochi metri dalle testate nucleari dei missili del Belknap, tanto che scattò uno dei più alti livelli di SOS nucleare, in codice Nato "Broken Arrow". Secondo W. Arkin, esperto militare Usa, "Se le fiamme avessero raggiunto i missili le possibilità sarebbero state due: o le testate atomiche sarebbero esplose con effetti immaginabili, oppure la nave sarebbe affondata a poche miglia dalla costa di Augusta". L'incrociatore era stato poi rimorchiato e riparato nel porto di Augusta: se l'incidente fosse accaduto nell'Alto Adriatico esso sarebbe stato ricoverato nei porti di Ancona o Trieste. E non ne avremmo saputo nulla fino al 1989, allorché l'ammiraglio Usa Eugene Carrol diffuse quelle che il Corriere del Giorno definì "Agghiaccianti rivelazioni: Una catastrofe nucleare nello Jonio l'abbiamo sfiorata quattordici anni fa" (prima pagina 26-5-1989).

Ci si pone quindi la domanda se a Trieste (e lo stesso vale per tutto l'Alto Adriatico) le attività delle unità Nato siano compatibili con la sicurezza della città e dell'angusto golfo, già gravato dai rischi costituiti dallo scalo petroli e dal traffico navale conseguente, dai depositi Siot, dal metanodotto, e in attesa del redivivo progetto Gpl. Ma soprattutto chiediamo al Sindaco e al Prefetto di Trieste di rendere pubblico il "Piano di emergenza per incidenti ad unità militari a propulsione nucleare" di cui tutti i porti su cui grava questo tipo di traffico, secondo la legge italiana, devono essere dotati (DL 230/95 del 17 marzo 1995, in Suppl. ordinario n. 74 alla Gazz. Uff. n. 136 del 13 giugno: "Attuazione delle direttive Euratom 80/836, 84/467, 84/466, 89/618, 90/641 e 92/3 in materia di radiazioni ionizzanti"), e che secondo legge deve essere reso noto alla cittadinanza, anche senza che ciò venga esplicitamente richiesto, come stabilito dall'articolo 129 di tale decreto, relativo all'obbligo dell'informazione, che così recita: "Le informazioni previste nella presente sezione devono essere fornite alle popolazioni definite all'art. 128 senza che le stesse ne debbano fare richiesta. Le informazioni devono essere accessibili al pubblico, sia in condizioni normali, sia in fase di preallarme o di emergenza pubblica".

La lunga lista di emergenze nucleari, di cui quelli qui riportati sono soltanto due esempi eclatanti, è pubblicata sul sito Web di Peacelink (http://www.peacelink.it), rete pacifista per il disarmo, che con la sua azione di denuncia è riuscita a far rendere pubblico il Piano di emergenza nucleare per il porto di Taranto. Il 6 settembre u.s. il consiglio comunale della città pugliese è stato convocato per una seduta monotematica sulla questione: l'assemblea all'unanimità ha deciso la "costituzione immediata di una Commissione di Studi allargata ad esperti ed associazioni che si occupano concretamente del rischio nucleare" (dall'OdG 6-9-2000), di cui anche Peacelink farà parte. Sul sito sono inoltre pubblicati il testo del Piano per Taranto e l'azione perseguita dalla rete pacifista fino ad ottenerne la pubblicazione.

Giorgio Ellero