La Stampa
Domenica 25 Febbraio 2001
Paura di recessione. Mercoledì il presidente della Fed parlerà al Senato. Martedì Bush presenterà i tagli alle tasse
Le Borse aggrappate a Greenspan
Negli Usa si scommette su un calo dei tassi
http://www.lastampa.it/LST/ULTIMA/LST/NAZIONALE/ECONOMIA/MERCATI.htm
Ugo Bertone

MILANO L’ultima iniezione di adrenalina per il Nasdaq è arrivata da Wayne Angell, capo economista di Bearn Stearns ma, soprattutto, vecchio braccio destro di Alan Greenspan alla guida della Fed di New York. « Sono convinto - ha dichiarato nel pomeriggio di venerdì - che ci siano almeno 60 possibilità su cento che la Federal Reserve tagli i tassi la settimana prossima di 50 punti, ripetendo la manovra del 3 gennaio». E’ bastata questa previsione per invertire la rotta del Nasdaq, fino a quel momento avviato all’ennesima caduta di fine settimana (la perdita già sfiorava il 4%), al punto che alla fine della seduta i prezzi erano tornati in zona positiva. Il parere di Angell, del resto, ha avuto ieri un autorevole avallo da Stephen Slifer, numero uno della ricerca di Lehman Brothers. «Se la Borsa continua a scendere e la fiducia dei consumatori scende a questi ritmi - spiega Slifer - la prospettiva di un taglio dei tassi in settimana diventa la più probabile». Di quanto? «Oggi i tassi sono al 5,5% - è la risposta - Io credo che a luglio saremo al massimo al 4%».

E’ in atto, insomma, una corsa contro il tempo che tiene in ansia gestori e risparmiatori di tutto il pianeta: sarà più veloce la scure di Greenspan sui tassi oppure la minaccia della recessione? I segnali in arrivo dal pianeta della finanza globale non sono positivi. La crisi dell’hi-tech frena le Borse americane, la minaccia del debito pesa sulle telecomunicazioni in Europa. Si tratta di due macigni che stanno condizionando in maniera determinante l’andamento dei listini e che, a giudicare dai primi bollettini, sembrano destinati a tradursi in pessime nuove per i risparmiatori che si sono affidati alle gestioni, anche quelle almeno sulla carta più conservative. Nelle scorse settimane, i mercati obbligazionari hanno offerto una buona alternativa. Non va dimenticato, del resto, che i titoli di Stato Usa hanno reso, in dollari, l’11,65% nel 2000, il terzo miglior risultato dagli inizi degli anni Novanta. Ma la minaccia di una ripresa dell’inflazione, dovuto negli Usa all’impennata dei prezzi dell’elettricità e in Europa all’effetto «mucca pazza», getta qualche ombra sul futuro. E se Bush confermerà dopodomani davanti al Congresso i tempi e l’entità degli sgravi fiscali (1.600 miliardi di dollari in dieci anni) i mercati rifaranno i conti sul debito pubblico americano. L’epoca dei rimborsi programmati da Lawrence Summers, ex segretario al tesoro, è ormai alle spalle...

Sull’euro, intanto, incombe l’allarme per la crisi turca che ha sconvolto le prospettive dei mercati emergenti. A gennaio, infatti, chi aveva puntato sugli emergenti (Turchia, ma anche Russia e Sud America) aveva fatto un buon affare: il differenziale tra i bond degli emergenti e quelli dei paesi euro e Usa era sceso a 690 punti dai 756 di fine dicembre (segno che le quotazioni erano salite). Ma è bastata la lite di Ankara tra Sezer e Ecevit per far precipitare il differenziale dei titoli turchi a mille punti e l’indice di tutti gli emergenti a 730. Il tutto mentre la Borsa russa ha perso il 10%, quella messicana il 7% e l’Argentina più del 6%. Effetti della globalizzazione, certo, ma anche di una semplice verità: il mondo, nel 2001, ha meno voglia di rischiare.

La caduta della «new economy» ha lentamente eroso la fibra dei risparmiatori, i gestori sono a caccia di sicurezza. Il risultato è che in tutte le Borse vengono privilegiati i titoli che contengono «valore» (più solidi sul piano patrimoniale) rispetto a quelli di «crescita» (con migliori prospettive negli anni a venire). Sul fronte obbligazionario, invece, ci si rassegna a guadagnar di meno oppure a pretendere interessi sempre più elevati dai Paesi emergenti o dalle società private a rischio. Perfino il Giappone, la seconda economia del pianeta e la patria dei risparmiatori più tenaci, subisce intanto lo schiaffo della retrocessione del suo debito pubblico (il maggiore del mondo) da parte di Standard & Poor’s. Da domani i debiti in yen non godranno più della tripla A, una bocciatura che Tokyo vive come una profonda umiliazione.  Non resta, insomma, che fare affidamento sulla manovra dei tassi: Angell sarà un buon profeta? Per avere una risposta non occorrerà attendere molto: mercoledì Alan Greenspan tornerà ad esibirsi davanti al Congresso. Le borse di tutto il pianeta, al solito, resteranno con il fiato sospeso in attesa di lumi. Ma c’è da chiedersi quale futuro possano avere mercati che confidano solo nel taglio dei tassi.



Commento: questo articolo è interessante perché pone una domanda: perché i destini dell'economia del mondo sono nelle mani di una sola persona, di Greenspan ? Cosa ha di miracoloso questo individuo per aver sottratto ai popoli le redini del proprio destino economico? Perché "La Stampa" non dice chiaramente che siamo nelle mani di una Banca privata, la Federal Reserve? Forse il banchiere ha un amico avvocato?