La Stampa
10 gennaio
Albright: «Sì a un’indagine sulla contaminazione in Bosnia»
Usa e Gran Bretagna contro la moratoria
di Maurizio Molinari
corrispondente da BRUXELLES
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Il primo round fra i partner della Nato sui proiettili all’uranio impoverito si è concluso senza vintori nè vinti e oggi gli ambasciatori del Consiglio Atlantico dovranno consumare tutte le loro arti diplomatiche per arrivare al compromesso. Due ore di riunione del comitato politico dell’Alleanza ed un pranzo-fiume di quasi quattro ore fra gli ambasciatori hanno registrato ieri una comune volontà di «rispondere alle richieste di verità dell’opinione pubblica - spiega una portavoce - ma senza ancora un accordo».

L’Italia ha recitato un ruolo da protagonista, illustrando nel dettaglio nove richieste con quattro obiettivi: sapere in quali aree geografiche della Bosnia vennero usati i proiettili all’uranio impoverito; decidere le future modalità di conservazione e gestione dei proiettili; stabilire meccanismi di consultazione automatica per la salvaguardia della salute dei soldati; ottenere la moratoria dell’uso di ogni tipo di munizione all’uranio impoverito. Gli altri 18 partner hanno ascoltato con attenzione l’esposizione del documento italiano.

Poi hanno preso la parola. Sia in seno al comitato politico che al pranzo degli ambasciatori la scena che si è ripetuta è stata simile: unanime il plauso all’Italia per aver «sollevato il caso», consistente il sostegno ad adottare «procedure e meccanismi» nuovi, appoggio all’«urgenza» di avere i dettagli delle zone geografiche interessate della Bosnia. Ma quando si è trattato di esprimersi sull’ipotesi di una vera e propria «moratoria» il consenso ha lasciato il posto alla prudenza, con Stati Uniti e Gran Bretagna in prima fila nel sostenere che «la messa al bando non è possibile in assenza di prove certe sulla nocività di queste munizioni».

Anche il Portogallo ha condiviso questa posizione, precisando con un intervento da Lisbona del proprio ministro della Difesa, Julio Castro Caldas, che «non rinunceremo a queste armi se non in caso di unanimità in seno alla Nato in questo senso». Era stato il Segretario di Stato americano, Madeleine Albright, ad anticipare la posizione che gli Stati Uniti avrebbero tenuto: «Siamo di fronte ad un problema scientifico, non emotivo» ed i proiettili all’uranio impoverito fanno parte di «armamenti standard», i cui effetti negativi per l’organismo non sono stati ancora provati.

Americani e britannici nella prima giornata di consultazioni si sono detti favorevoli a condurre nuove «ricerche» sugli effetti dell’uranio impoverito ed anche ad affidare all’Agenzia per l’Ambiente dell’Onu il compito di condurre in Bosnia un’indagine simile a quella portata a termine in Kosovo. «Moratoria» o «messa al bando» sono invece due termini che Washington e Londra respingono perché anticiperebbero le conclusioni scientifiche. A fianco dell’Italia è invece scesa Berlino, mantenendo gli impegni della vigilia, seguita da Belgio e Spagna. In Germania l’allarme per l’uranio si allarga alle basi militari Usa per via delle munizioni dei carri armati «Abrams».

Attorno al tavolo della Nato gli alleati si sono divisi. In serata gli sherpa - gli scriba diplomatici - delle delegazioni sono tornati a riunirsi per studiare un compromesso lessicale per evitare una rottura. Dagli ambienti italiani di Bruxelles trapela la convinzione che alla fine un accordo comunque si troverà «anche perché non vi sono conflitti in corso e le munizioni non vengono adoperate» e quindi ci si trova in una situazione dove la moratoria de facto già esiste. Sarà la riunione di questa del Consiglio Atlantico a trarre le conclusioni. Il Segretario Generale della Nato, George Robertson, vuole a tutti i costi un accordo ed ha già annunciato che illustrerà ai giornalisti il «comunicato finale» nel primo pomeriggio di oggi.

Ma nessuno è certo a Bruxelles di cosa dirà. La volontà di Robertson di chiudere il caso ed allontanare lo spettro di divisioni e polemiche si spiega anche con il fatto che oggi scende in campo l’Europa. La Commissione Europea annuncerà i passi in favore di «accertamenti per tutelare la salute dei cittadini europei» che potrebbero diventare un motivo di attrito con l’Alleanza. Il presidente della Commissione, Romano Prodi, ha incassato ieri a Stoccolma il sostegno della presidente di turno svedese, e ribadisce: «Se sarà dimostrato che queste armi fanno male alla salute, devono essere messe al bando».

(10 gennaio 2001)