La Stampa
Martedì 2 Gennaio 2001
«Armi all’uranio, ci hanno mentito»
Parlamentari a Sarajevo: i nostri militari esclusero ogni pericolo
http://www.lastampa.it/LST/ULTIMA/LST/NAZIONALE/ESTERI/APREaa.htm
Vincenzo Tessandori

ROMA Sembra incredibile, ma nel novembre scorso i nove parlamentari volati a Sarajevo quali rappresentanti della Commissione Difesa sono stati rassicurati: «Non esistono problemi per la contaminazione da uranio impoverito». Incredibile che a dare col sorriso sulle labbra questa tranquillizzante notizia fosse una fonte militare non statunitense, considerato che quelle armi le avevano usate loro, ma italiana. Quando ricorda il viaggio l’onorevole Stefano Semenzato, del gruppo verde, ha la voce di uno consapevole di averle sentite tutte. «Ci avevano escluso anche l’impiego di armi del genere. Eppure a Sarajevo ho chiesto con insistenza, ai comandi italiani. E loro dicevano: "La Kfor nega qualsiasi uso, quindi noi non possiamo che ripetere che non c’è stato nulla del genere". Ma, al contrario di altri, gli italiani erano proprio nella zona e tra l’altro sono intervenuti immediatamente a ridosso: bisognerebbe capire se questo pulviscolo è rimasto, poi sapere che cosa hanno mangiato in quella fase, se usavano alimenti provenienti da quella zona: tutti dati molto concreti».

Trasparenza è una parola dai significati difficili, e in tutta questa sciagurata vicenda è forse l’unica cosa ad esser mancata. Così, per vederci più chiaro e magari per evitare il ripetersi di figure imbarazzanti, Sergio Mattarella, ministro della Difesa, ha nominato una commissione composta dal professor Franco Mandelli, medico; Martino Grandolfo, direttore del Laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità; Alfonso Mele, ematologo; Giuseppe Onofrio, dell’Anpa, l’organismo nazionale per la protezione ambientale; Vittorio Sabbatini, direttore del Cisam (Centro interforze e studi applicazioni militari); Antonio Tricarico, generale ispettore medico. Tutti esperti, scienziati di non discutibile prestigio. Ma non è questo il punto. «Il fatto è che esiste un vizio d’origine che è poi il vero nodo: le commissioni di tipo ministeriale non hanno fonti di acquisizione autonome e devono per forza indagare su notizie fornite da fonti militari, non sono come una commissione parlamentare che ha i poteri della magistratura», chiarisce Semenzato. Che sembra così suggerire una equazione semplice semplice: se le notizie sulle quali si lavora sono inesatte, il risultato sarà inutile, per non dire peggio. Perché? «Le fonti di informazione sono quelle che passano i militari. I quali, ovviamente, hanno un interesse molto preciso a tener tutto sotto traccia. Quindi ho l’impressione che, alla fine, ci sarà un vicolo cieco. Esiste un dato abbastanza evidente: se si vuol capire se è l’uranio impoverito ad avere provocato certe cose, bisogna capire le modalità con cui le persone si sono mosse, sono state utilizzate, dove sono andate; insomma, ricostruire in maniera attenta tutto ciò che riguarda la loro presenza in quei luoghi».

La missione ha fatto tappa nella ex-Jugoslavia, poi in Albania. «Per rendersi un po’ conto delle condizioni di impiego dei contingenti internazionali, soprattutto del nostro, e della loro utilità», dice Semenzato: «Sono emersi due dati: in Bosnia, in realtà, la presenza multinazionale è ancora importante, perché la situazione di tensione fra le varie etnie rimane latente ed è percepibile che, nel momento in cui si togliesse questa presenza, ci sarebbe il rischio di un nuovo conflitto. In altre parole, l’uso di forze internazionali in quel luogo è abbastanza efficace. Del tutto contraria la situazione in Albania, dove vi è un dispiegamento italiano molto forte a protezione del corridoio militare dal mare al Kosovo, anche in caso di un’invasione di terra. Ma ora questa funzione non c’è più». Proprio così: accadono cose singolari, nei Balcani. In Albania il nostro Paese ha circa 1200 soldati, il fatto è che i convogli di materiale ormai passano per la Grecia, attraverso un intinerario incredibilmente lungo. Motivo? Segreto militare. O qualcosa di simile.

Il fatto è che la fiducia nelle istituzioni ha ricevuto una robusta spallata. Per esempio: fra i giovani allievi ufficiali sembra scemato, e di parecchio, l’entusiasmo per le missioni all’estero. Non solo, l’Angesol (Associazione dei genitori dei soldati in servizio di leva) ha chiesto al presidente della repubblica Carlo Azeglio Ciampi «l’immediato ritiro dei militari italiani dai Balcani». Perché tenerli ancora laggiù, con i rischi emersi, secondo Amalia Trolio, presidente dell’associazione, sarebbe «criminogeno». «Al Ministero della Difesa e al governo tutti sapevano, ma tutti hanno taciuto, negando poi anche davanti all’evidenza. Perché le procure non ravvisano un reato in questo silenzio voluto dai vertici militari e dal governo? L’aver taciuto una verità che provoca decessi (si tratti dell’uranio o di altre micidiali armi chimiche) non è reato?». Del resto, altri Paesi hanno già deciso di lasciare: l’Olanda, per esempio, il Portogallo e l’Argentina che ha chiuso l’ospedale in Kosovo. Secondo l’Angesol «le belle parole augurali del ministro della Difesa e del Capo dello Stato ai militari in missione non bastano più, soprattutto per chi è morto o per chi è in chemioterapia e per chi ha paura. Per tutti costoro senza ipocrisie dev’essere riconosciuta la causa di servizio. Tutti i militari inviati nei Balcani dev’essere sottoposti a screening: qualsiasi ritardo potrebbe risultare fatale». Infine, un appello: «Militari e famiglie: denunciate senza paura».

vincenzo.tessandori@lastampa.it