La Stampa, Domenica 31 Dicembre 2000
IN CASA DELLA GIOVANE VITTIMA DOPO IL RITORNO DAL KOSOVO
«L’ho visto morire straziato»
I parenti del militare ucciso dal melanoma
http://www.lastampa.it/LST/ULTIMA/LST/NAZIONALE/CRONACHE/SAPEGNO.htm
inviato a SAMARATE (Varese)

MA voi avete idea di cos'è?» Sì. «No, non potete. Non avete idea». E’ morto di cancro, signor Ferrari. «Lasciamo perdere. Non ce l’ho con lei, ma non ce la faccio più a parlarne». Non è morto di un tumore? «E’ morto di dolore, una sofferenza atroce. E’ stata una cosa terribile, non potete immaginare. E’ morto consumato dal dolore, capisce? È morto divorato, annientato dal male».

Si affaccia sulla soglia, dietro il cancello, i colori vespertini, le vampate dei flash. Quando è successo, signor Ferrari? «L’8 novembre». E’ vero che aveva chiesto «il riconoscimento della malattia come dipendente da causa di servizio»? Si gira: «Non chiedetelo a noi». La signora, vicino a lui: «Queste cose non le sappiamo». Rinaldo Colombo, carabiniere, 31 anni, due missioni all’estero, in Bosnia e in Albania. Sposato con Michela Ferrari. Prima diagnosi, maggio ‘98, bollettino medico: «un’escrescenza sottocutanea al cuoio capelluto». Una prima asportazione, la biopsia, e la nuova diagnosi: tumore maligno. «Melanoma», dice Valentino Ferrari. E’ il papà di Michela, la moglie di Rinaldo. Lei ha 27 anni, è tornata a casa dopo la morte del marito. Non vuol parlare. «E’ andata da una sua amica, per non veder le televisioni e i taccuini». Invece, papà e mamma ci stanno di fronte, alle tv e alle penne. I soldati della notizia. «Avete capito?», dice. «Non ce la facciamo». Valentino si gira, sta per allontanarsi. Lo insegue una voce, impietosa: adesso si parla di questo collegamento con le morti per l’uranio. Il signor Ferrari si ferma. Lei cosa ne pensa? «Non so. Come faccio a saperle queste cose? Perché le chiedete a noi?» Samarate, provincia di Varese. Villette, stradine, campagna. Una sera fredda. Rinaldo viveva qui prima di morire. La signora piange: «Era un bel ragazzo, era forte. Ha fatto una fine orrenda. Dolori atroci, terrificanti». Dove? «Prima alla spalla. Non riusciva a star sdraiato». Valentino: «Stava buttato a letto, sul divano, un ragazzo pieno di vita come lui. Non riuscivamo a dirgli niente, coraggio, Rino, coraggio, solo questo, e lo vedevamo spegnersi e ci faceva male al cuore».

E l’uranio? La mamma di Michela dice solo che «era andato in missione all’estero, ma io non ne so molto perché si trattava di incarichi segreti». Il comando dei carabinieri di Varese è ancora più cauto: «Attualmente negli atti non ci sono elementi tali da correlare la causa del decesso, un melanoma sottocutaneo, all’impiego del militare all’estero. Niente che sia riconducibile agli effetti legati a un’esposizione all’uranio impoverito». Però, è vero che, prima di morire, il carabiniere Rinaldo Colombo aveva avanzato una richiesta per avere «il riconoscimento della malattia come dipendente da causa di servizio». E il sindaco di Samarate, Ermanno Venco, a capo di una giunta polista, dice addirittura che lui non ne sapeva niente: «Abbiamo appreso la notizia dai telegiornali. Ci è piombata fra capo e collo. E’ una vicenda grave, che dimostra come la guerra sia stata condotta con mezzi anomali. A parte il discorso, già affrontato, sulla necessità e la legittimità di quella guerra, riparleremo di tutta questa storia in giunta per decidere assieme quali iniziative adottare a favore della famiglia del carabiniere deceduto».

La famiglia vive a Carnago, provincia di Varese, a pochi chilometri da Samarate. Imelda e Angelo Colombo. Sfogliano i giornali che parlano del figlio: «Ci sono tante inesattezze negli articoli...» Perché? «Non è morto di leucemia, come c’è scritto». Di cosa? «Di un melanoma. Ma se volete saperne di più, non parlate con noi. Andate all’ospedale di Gallarate dove è stato curato». Imelda Colombo ci congeda al telefono: «Non chiedeteci di più, ve lo chiediamo per favore. E’ morto l’8 novembre e per noi è come se fosse qui. E’ una ferita ancora aperta, troppo recente. Siamo sotto choc». Il signor Ferrari ci racconta che nei due anni della malattia che l’ha accompagnato alla morte, Rinaldo era stato operato due volte all’Istituto dei Tumori di Milano, quello del professor Umberto Veronesi. Era tornato dall’Albania nell’agosto ‘97. Ultima missione all’estero. Prima diagnosi, maggio ‘98. «Ma lui stava già male», dice la mamma di Michela. Da quando? «Non lo so. Non subito. Però era qualche mese che non era più lo stesso». Che cosa aveva? «Era stanco, molto stanco. Sembrava un’altra persona. Aveva perso energie». Si è sposato l’8 dicembre del ‘98. Figli? «Nessuno». Vi dispiace? «Beh, sì». All’epoca del matrimonio, Rinaldo era già stato trasferito a Bolzano. Nel giugno del Duemila, l’ultimo trasferimento, alla compagnia di Gallarate, con incarico alla Malpensa. E’ morto l’8 novembre.

Michela non ha ancora finito di piangerlo. Il buio della sera. Valentino: «Anche noi non abbiamo finito di piangerlo». Signor Ferrari, l’ultima domanda. Lui dice basta, si allontana dalla cancellata. Vi ha mai parlato di quella guerra, vi ha raccontato qualcosa? «Cosa doveva dirci?» Le luci della cucina, la moglie che lo chiama, «adesso basta», signor Ferrari, e lui: «Non voglio essere scortese. Per me, oggi è di nuovo l’8 novembre. Io me lo rivedo di fronte. Un ragazzo sfigurato dalla morte».