La Stampa di Torino
Martedì 19 Dicembre 2000
«Così sono stato contaminato nei Balcani»
La testimonianza di un militare che ora ha la leucemia
http://www.lastampa.it/LST/ULTIMA/LST/NAZIONALE/CRONACHE/BORSE_URANIO.htm
Corrado Grandesso

corrispondente da CAGLIARI Un altro militare malato di leucemia. Un caporalmaggiore di 23 anni, che vive a pochi chilometri da Cagliari, ha raccontato d’essere stato in Macedonia nella primavera del ‘99 e di aver scoperto un anno fa di soffrire del morbo di Hodgkin, la malattia che ha ucciso Salvatore Vacca, il primo nome della drammatica lista di morti, possibili vittime della contaminazione dell’uranio impoverito, materiale usato per fabbricare micidiali munizioni, in grado di perforare le corazze dei carri armati. Da mesi il militare è in chemioterapia. L’allarme è scattato appunto nell’agosto del 1999, troppo tardi per tentare di strappare alla morte il caporalmaggiore Salvatore Vacca, classe 1976, di Nuxis, piccolo paese sardo, nel cuore del Sulcis. Solo in agosto i medici avevano scoperto che il male oscuro di cui soffriva era la leucemia. Partito per la Bosnia con i commilitoni della Brigata Sassari impegnata in una missione di pace, quel giovanottone che amava lo sport, il calcio soprattutto, aveva iniziato a star male in marzo: era rientrato a casa debole, stanco e dimagrito. A maggio era stato ricoverato per dodici giorni nell’ospedale militare dove gli era stato diagnosticato un ipertiroidismo per via di un ingrossamento al collo. Il 9 settembre è morto.

Una morte apparsa per molti versi misteriosa. Ma non per il padre del ragazzo, Giuseppe Vacca, ex sottufficiale dei carabinieri, e la madre Peppina Secci. Per entrambi il killer del figlio aveva già allora un nome: uranio impoverito. «Nostro figlio è stato avvelenato da quella sostanza», ripetevano in lacrime i due genitori. Perché si facesse luce sulla tragedia, Giuseppe Vacca ha inoltrato denunce, sollecitato indagini, fino ad ottenere l’apertura di due inchieste, una della Procura militare di Roma, l’altra di quella di Cagliari. Per un lungo periodo di tempo, il caso è stato circondato da un diffuso scetticismo. Nessuno pareva accettare come reale l’ipotesi che il caporalmaggiore fosse stato vittima di una contaminazione nucleare. Poi sono emerse altre vicende drammatiche. Prima quella del soldato di Assemini (centro a una ventina di chilometri da Cagliari), morto di leucemia, dopo aver prestato servizio nel poligono interforze di Teulada (paese sulla costa sud-occidentale della Sardegna). Nell’ospedale Careggi di Firenze è morto il sergente pugliese Andrea Antonaci, reduce anch’egli dalla ex Jugoslavia. E a Roma il maresciallo Domenico Leggiero, delegato del Cocer Esercito, ha reso noto domenica pomeriggio che un militare della Croce Rossa (di cui non ha fatto il nome) è stato stroncato dalla leucemia dopo avere prestato servizio in Bosnia. Quattro croci cui si sommano altrettanti casi di giovani ricoverati o sottoposti a esami dopo una permanenza più o meno lunga nei Balcani. Sull’identità dei giovani ammalati il riserbo è assoluto.

L’Esercito non conferma l’ipotesi della leucemia provocata dal contatto con uranio impoverito contenuto nei proiettili utilizzati dalle truppe della Nato nei Balcani. Il responsabile del comando militare autonomo della Sardegna, generale Angelo Lunardo, ha negato che esista un nesso causale certo tra una probabile contaminazione e le morti denunciate in questi giorni. La smentita si è sommata a quella sulla base di Teulada, dove aveva prestato servizio Giuseppe Pintus: nel poligono ­ hanno precisato i generali ­ non sono mai state mai usate armi con caratteristiche analoghe a quelle radioattive usate nei paese dell’ex Jugoslavia.