La Repubblica, 4 febbraio
Uranio, un’altra vittima
È un ufficiale di Marina reduce della Somalia
Era presente quando fu bombardata la casa di Aidid, ucciso da un tumore
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010204/esteri/20esuran.html
PIETRO DEL RE

 ROMA — Aveva quarant’anni Crescenzo D’Alicandro, capitano di corvetta del battaglione San Marco. Dopo aver operato per due volte nelle zone della Somalia più colpite dall’uranio impoverito, D’Alicandro è morto di un tumore ai reni. Con il decesso del maresciallo elicotterista Umberto Pizzamiglio, è questo il secondo caso di morte sospetta da "sindrome da Uranio" per i reduci italiani dalla Somalia. Lo ha reso noto ieri Falco Accame, ex presidente della commissione Difesa della Camera e ora presidente dell’AnaVafaf, l’associazione nazionale che assiste le famiglie dei caduti durante il servizio militare. Dice Accame: «Hanno tutti denunciato l’uso dei proiettili all’uranio impoverito prima nel Golfo, poi in Bosnia. Ma della Somalia non ha mai parlato nessuno. Eppure, lì, dopo l’esperienza della guerra contro Saddam, i militari americani sembravano astronauti: erano protetti dalla testa ai piedi. Mentre i nostri soldati andavano in giro in pantaloncini corti e maglietta, inconsapevoli dei rischi che correvano».

 Ora, dal luglio del ‘93, in Somalia gli americani hanno ripetutamente bombardato la residenza blindata del generale Aidid con proiettili al depleted uranium sparati da elicotteri Cobra e da blindati Bradley. Proprio in quella zona erano in servizio il capitano D’Alicandro e il maresciallo Pizzamiglio.

 Ieri, l’associazione di Accame ha ricevuto un’altra segnalazione. Proveniva da un militare che vive in Campania, reduce dai Balcani. L’uomo sostiene di essere diventato sterile poco dopo il suo rientro in Italia. «L’unica cosa che ho potuto dirgli è stato di contattare il servizio di ematologia del professor Franco Mandelli», ha dichiarato Accame. «I responsabili francesi si sono preoccupati di impartire disposizioni che sconsigliano i reduci a non generare figli per almeno sei mesi dopo il rientro. Ma questo non è accaduto per i nostri reduci».

 Per l’AnaAnav si pone adesso un altro problema. Quello del risarcimento delle famiglie delle vittime. Per i soldati deceduti di leucemia, non è mai stata riconosciuta la causa di servizio. «Concederla sarebbe una indiretta ammissione di responsabilità da parte delle Forze armate», dice Falco Accame. «Non solo: l’assistenza sanitaria fornita ai reduci è scarsissima. Noi chiediamo che alle famiglie che hanno perso un congiunto per la contaminazione da uranio, venga riconosciuto un indennizzo di 4 miliardi: quanto è stato assegnato alle famiglie delle vittime del Cermis». Accame nutre dubbi anche sul lavoro della commissione presieduta dal professor Mandelli, incaricata di approfondire le relazioni fra uranio impoverito e le malattie fra i militari italiani. « Mi chiedo se possa procedere alla riesumazione di una decina di salme per gli accertamenti del caso».

 Al momento è impossibile stabilire quante siano le segnalazioni giunte dalle istituzioni e dalle associazioni di tutela dei militari sulle presunte vittime. Nei giorni scorsi, lo stesso Mandelli non ha voluto dare indicazioni in proposito, ma, per far fronte alle richieste di informazioni che arrivano da quanti sono preoccupati per il possibile contagio da depleted uranium, è stato messo a disposizione un numero verde della sezione di ematologia: 800226524.