La Repubblica, 17 gennaio
"Nome in codice: Vulcano e le nostre vite sono a rischio"
Anche l'uranio nelle armi bonificate dagli italiani
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20010117/esteri/08ita.html
di STEFANO CITATI

ROMA - Si chiamava "Operazione Vulcano". Il nome pare perfetto: si trattava di far saltare gli armamenti trovati dalle truppe di pace in Bosnia. Raccolte in una grande fossa scavata "a nemmeno un chilometro dall'accampamento di spagnoli e italiani, tonnellate di bombe, fucili, mitra, mine e anche un Tomahawk inesploso (l'anima del missile americano sarebbe composta da uranio impoverito), sono state fatte brillare, alzando in cielo una nuvola di polvere nera". Era il '96, reparti italiani s'occupavano d'immagazzinare i residuati bellici "toccandoli a mani nude, o con dei guanti da lavoro, e con le magliette a maniche corte", di portarli nel "fornello", la fossa dove veniva poi fatta esplodere la santabarbara. Le armi venivano raccolte tra le colline che circondano Sarajevo: si dissotterravano le mine, si rastrellavano armi più o meno pesanti (bazooka, lanciagranate, mitra), e sarebbero anche stati raccolti "proiettili DU, depleted uranium, inesplosi", ricostruisce dalle foto scattate da soldati italiani 5 anni fa il maresciallo Domenico Leggiero, membro dell'Osservatorio per la tutela del personale delle Forze armate.

È ormai stabilito che la maggior parte dei dardi all'uranio impoverito, sparati dal cannoncino da 30 millimetri del "cacciacarri" americano A-10 Thunderbolt ("Rombo di Tuono"), mancavano il bersaglio e andavano a conficcarsi in profondità (4-5 metri, come hanno spiegato gli esperti italiani che hanno identificato le munizioni in Kosovo nel '99 e nelle ultime settimane in Bosnia) o rimbalzavano sul terreno e rimanevano intatti. Le mappe consegnate ieri dalla Nato, che seguono i dati sul numero totale di proiettili DU sparati (10.800, secondo le informazioni forniti dall'Alleanza poco prima di Natale), dimostrano come le zone colpite siano tutte e 19 distanti dalle aree dove dal 20 dicembre '95 si sono dispiegati i soldati italiani. Ma in operazioni di "sequestro e bonifica degli armamenti è di certo capitato di raccogliere anche tali dardi assiene agli altri armamenti serbi". A quel tempo nessuno tra i militari italiani sapeva dell'uso di dardi DU, perciò le procedure di sicurezza erano "totalmente inadeguate". "Come si vede, c'erano soldati che andavano a controllare il cratere del "vulcano" dopo l'esplosione, senza protezioni, mentre sopra le colline s'allargava ancora la nube scura a cui sarebbe seguito il fallout, la ricaduta del materiale".

"Adesso, rivedendo nelle foto quel fumo denso e nero, sembra assai probabile che venisse sprigionato da armamenti all'uranio impoverito; di solito il "fungo" prodotto dall'esplosione di armi convenzionali - mine, pallottole - è composto da un fumo chiaro che si disperde rapidamente, questo era ben diverso", spiega Leggiero. Nelle immagini il nuvolone incombe sul campo di tende spagnolo, attiguo a quello italiano che era responsabile dell'accantonamento delle armi recuperate. Tra esse "sembrano esserci anche modelli italiani, che qualcuno in passato ha evidentemente venduto agli eserciti dei Balcani".

Il responsabile dell'Osservatorio ricorda anche che una parte degli armamenti all'uranio che sono stati utilizzati nelle operazioni balcaniche sono passate per l'Italia. Nel poligono di tiro di Capo Teulada - area d'esercitazione sarda in questi giorni al centro di polemiche per le accuse di organizzazioni e privati cittadini che parlano di test con armi DU - sarebbero state immagazzinate le munizioni per le missioni aeree dell'Alleanza. Nessun uso diretto dei proiettili depleted uranium, ma solo una "sosta tecnica" prima d'esser trasferiti altrove, magari verso Aviano, la base Nato del Friuli da dove sono partite le missioni su Bosnia e Kosovo. I soldati italiani in Bosnia hanno di certo maneggiato anche un'altra sostanza che è ora sospettata di essere causa della "Sindrome del Golfo", poiché cancerogena: il benzene. "Barattoli di "mostarda" al benzene, utilizzati per la pulizia delle armi, sono ancora visibili negli scantinati dell'ex ospedale psichiatrico di Sarajevo che fungeva da armeria per il contingente italiano". La scorsa settimana con una circolare l'Esercito avrebbe messo al bando l'uso di tale sostanza.