La Repubblica, 27 gennaio
Parla il leader palestinese Arafat: "Se vince il Likud rischiamo un'escalation del conflitto"
"Con Sharon la pace è impossibile"
http://www.repubblica.it/online/mondo/territoriquattordici/arafat/arafat.html
dal nostro corrispondente ENRICO FRANCESCHINI

GAZA - Nello scaffale meno in vista della libreria che adorna l'ufficio di Yasser Arafat, tra eleganti riproduzioni del Corano, scartoffie accumulate alla rinfusa, omaggi dei dignitari in visita e una vecchia foto che lo ritrae giovanissimo accanto all'egiziano Nasser, c'è anche una "menorah" d'argento, il candelabro a sette braccia simbolo dell'Ebraismo: un dono di Yitzhak Rabin, all'epoca in cui il leader palestinese e il primo ministro di Israele volevano fare "la pace dei coraggiosi". Adesso il candelabro è nascosto, e sui due popoli che condividono la Terra Santa spira un brutto vento.

"Sono quattro mesi che gli israeliani ci massacrano, eppure noi continuiamo a negoziare", dice il capo dell'Olp, ricevendoci nel suo quartier generale di Gaza insieme a una delegazione del parlamento europeo, guidata dall'italiana Luisa Morgantini. Un deputato del gruppo, Claudio Fava, due ore prima ha sentito fischiare sulla testa le pallottole dei soldati israeliani, perché si era avvicinato a un insediamento ebraico.

"Se fanno questo a un deputato, immaginate cosa fanno a noi", commenta Arafat. Il 72enne presidente dell'Autorità Palestinese è pallido, scosso a intervalli dal tremolio che lo affligge da tempo, sintomo del morbo di Parkinson; ma il vigore intellettuale non sembra risentire degli acciacchi fisici, mentre parla in inglese, per quasi un'ora di fila.

Presidente, le elezioni del 6 febbraio in Israele sono vicinissime, nei sondaggi il capo della destra Sharon mantiene il vantaggio sul primo ministro Barak: cosa accadrà se Sharon vince? Il Medio Oriente piomberà in una nuova guerra?

"Una vera guerra, credo di no. Ma Sharon causerebbe un'escalation del conflitto. Con lui al potere non avremmo la pace. Ma non l'abbiamo avuta neppure con Barak".

Per lei l'uno o l'altro sono la stessa cosa?

"Non dico questo. Ma ho appreso da fonti sicure, fonti israeliane, che esiste un accordo segreto tra Barak e Sharon: chi vince stringerà un'alleanza con l'altro, dandogli un ministero importante in un governo di unità nazionale. Chiunque vinca, però, tutti i sondaggi mostrano una solida maggioranza di israeliani favorevoli alla pace. E' su questo che conto: il 65-70 per cento degli israeliani non vogliono un conflitto. E neanche noi lo vogliamo".

Se lei firmasse un accordo di pace con Barak, nei negoziati che si svolgono in questi giorni a Taba, probabilmente lo aiuterebbe a vincere le elezioni.

"Vorremmo firmarlo, non per aiutare Barak, ma per realizzare finalmente la pace. Finora tuttavia a Taba non ci sono stati progressi sufficienti".

Ci saranno prima del 6 febbraio?

"Se c'è la volontà da entrambe le parti, il modo di mettersi d'accordo si può trovare. Ma il tempo a disposizione è poco".

In Israele c'è assoluta unanimità fra destra e sinistra sull'opposizione al ritorno dei profughi palestinesi nelle case che avevano fino al '48 all'interno dello Stato ebraico. Il piano di pace di Clinton afferma che i profughi potranno tornare, non in Israele, bensì nella nuova madre patria, la Palestina indipendente. Si può trovare un compromesso?

"Al vertice di Camp David, lo scorso luglio, io, Clinton e Barak concordammo che dovevamo lavorare insieme per trovare una soluzione. Ma poi questo lavoro comune non è stato fatto".

Su Gerusalemme, Israele accetta la proposta americana: la Palestina avrebbe la sua capitale a Gerusalemme est, con la sovranità sui quartieri arabi della città e sui luoghi sacri islamici. Non vi basta?

"Non è così semplice. Noi abbiamo sempre riconosciuto che ciascuno deve controllare i suoi luoghi sacri, per cui il muro del Pianto e il quartier ebraico circostante devono rimanere a Israele. Ma adesso Israele sostiene che il muro del Pianto non è lungo 58 metri, è lungo 485 metri, e che include il tunnel sottostante, e così via. Il problema è che Barak cambia di continuo le carte in tavola".

Israele teme che un domani i paestinesi facciano scavi sotto il muro del Pianto...

"Già, a Camp David non facevano che chiedere garanzie che vietassero nostri scavi sotterranei nella zona. Ma rispondevo che non abbiamo bisogno di fare alcuno scavo, noi, i nostri luoghi sacri sono ben visibili, le moschee sopra la Spianata, e sono lì da secoli!".

Su quella Spianata, con la visita di Sharon a settembre, è cominciata la rivolta. Si poteva evitarla?

"Due giorni prima, il 26 settembre, ero a cena da Barak nella sua residenza privata. Lo pregai insistentemente di vietare a Sharon quella visita. Gli dissi che il più grande eroe di Israele era stato Moshe Dayan, che appena conquistata Gerusalemme est, nella guerra dei Sei Giorni, proibì agli israeliani di pregare sulla Spianata, rimosse una bandiera israeliana e diede agli arabi il controllo delle moschee. Perché Dayan aveva vissuto in mezzo a noi da prima del '48, ed era un uomo saggio. Ma Barak non mi diede ascolto, Sharon è andato sulla Spianata con 3 mila soldati israeliani e sappiamo cosa è successo dopo".

Bush segnala che non si impegnerà nel negoziato di pace come faceva Clinton: è un bene o un male?

"Clinton ormai se n'è andato, inutile riparlarne. Certo Bush avrà bisogno di tempo per mettere in moto la sua amministrazione.E in questo vuoto sarebbe più che mai necessario l'intervento dell'Unione Europea. All'Europa dobbiamo molto per l'assistenza economica che generosamente ci offre, senza la quale non potrei nemmeno pagare gli stipendi. Ma dall'Europa vorrei anche un maggior contributo politico alla pace".

Ai vostri occhi l'America rimane sempre filo-israeliana?

"Washington minaccia il veto contro ogni risoluzione dell'Onu che critica Israele. Al Palazzo di Vetro hanno bloccato persino l'invio di aiuti umanitari dall'Iraq al popolo palestinese, e si trattava di cibo, medicinali, mica armi. Intanto, gli Usa danno 3 miliardi di dollari l'anno a Israele, di cui la metà per l'acquisto di armamenti, incluse armi proibite, all'uranio impoverito".

Presidente, quando finirà questa Intifada?

"Quando finiranno l'occupazione e l'aggressione israeliana. In quattro mesi ci hanno messi in ginocchio, hanno schiacciato la nostra gente, la nostra economia, la nostra vita. Il Parlamento non può riunirsi, perché le strade sono bloccate, non posso riunire il mio governo, neppure io posso andare liberamente da Gaza alla Cisgiordania. A Natale, per raggiungere Betlemme, sono dovuto passare da Amman e farmi prestare l'elicottero personale di re Abdullah di Giordania. Va avanti così da quattro mesi. Quanto tempo può durare? Quanto ne passerà prima che il mondo intervenga e dica basta? Quanto?".

(27 gennaio 2001)