Ma su pillola e aborto esplode l'ira del premier
 "No ai roghi": è polemica con il cronista dell'"Avvenire"
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20001229/interni/02messi.html
di SEBASTIANO MESSINA

 ROMA - Ci avevano provato in tanti, a far perdere la pazienza al presidente del Consiglio che era salito in cattedra con la bacchetta in mano, sotto le arcate luminose di quell'abbazia del potere che è diventato l'ex riformatorio di San Michele a Ripa. Facevano il loro mestiere, in fondo: un bravo giornalista cerca sempre di mettere in difficoltà un capo del governo, se gli capita di trovarselo davanti in una conferenza stampa. E dunque una cronista ha tirato fuori l'uranio impoverito, un altro gli ha gettato tra le ruote la storia di quell'infelice e incompreso "purtroppo", un altro ha evocato i sondaggi che dicono centro-destra, un altro ha ricordato il flop dell'asta per i telefonini Umts, un altro ancora ha riaperto la ferita segreta della staffetta con Rutelli. Ma lui, Giuliano Amato, ostentava la calma allegria di un monaco tibetano, sciabolava l'aria con le sue mani affilate, costruiva origami di parole per contrapporre al bene il "non-bene", anziché il male, e per non dire né demerito né torto nè - per carità - colpa arrivava perfino a inventarsi il "non-merito" dei guai del 2000.

 Sembrava inscalfibile, imperturbabile, serenamente impassibile. Pareva quasi che quelle domande giustamente irriverenti gli scivolassero addosso come la pioggia su un impermeabile ("Unni mi chiovi mi sciddrica", avrebbe detto al suo posto il nonno siciliano, citando un antico detto catanese nel quale c'è tutta l'arte di non dar soddisfazione a chi ti provoca).

 Poi è bastata una pillola. Pochi grammi di Levonorgestrel, e Amato ha perso la trebisonda. Gli avessero detto "venduto", gli avessero gridato "fascista", forse l'avrebbe presa meglio. E invece quella compressa dal pronto effetto gli è andata di traverso. L'ha estratta dalle pagine del suo taccuino un cronista dell'"Avvenire", con quella finta mitezza nella quale gli uomini di chiesa sanno avvolgere gli stiletti del Signore. Ma come, gli chiedeva l'inviato del quotidiano dei vescovi italiani, proprio lei che ha avuto un premio cattolico per le sue coraggiose posizioni antiabortiste, adesso ha autorizzato la vendita in farmacia della "pillola del giorno dopo", di quell'infernale sostanza che vìola il diritto alla vita? Attaccato per la prima volta dal fronte opposto a quello dal quale s'è dovuto difendere fino a oggi, il presidente del Consiglio è diventato rosso per la collera. La voce che fino a un istante prima ondeggiava tra il vellutato e l'ironico è diventata tagliente e infuocata.

 Prima un fendente sul cronista: "Mi dispiace che un moderato come lei usi un linguaggio che deforma i fatti, come fanno quelli che hanno una tesi precostituita". Poi, in un crescendo rossiniano che ha gelato l'intera sala, un'energica autodifesa: "Quella non è una pillola abortiva!", quel farmaco "non tocca la sacertà del diritto alla vita" perché impedisce "il radicamento dell'ovulo fecondato nell'utero", mentre "il momento del processo della vita è il momento dell' incapsulamento dell'ovulo nell'utero". Infine, con un tono che ormai sfiorava il collerico, la stoccata: "Non si offuschi questa verità che è scientifica. Così si fa con il rogo, non con la scienza!".

 L'Amato furioso s'è visto solo per qualche minuto. Poi è tornato l' Amato di sempre: il fiorettista delle cifre, il cesellatore di frasi a effetto, l'alchimista delle citazioni. Ci ha ricordato che "le rapine sono diminuite in un anno del 57 per cento", che "le espulsioni effettive sono state dieci volte più numerose degli anni passati", e soprattutto che "abbiamo creato molto più di un milione di posti di lavoro...", dunque "non siamo il Calimero d'Europa". Come spadaccino della polemica ieri era in gran forma. Gli mancava solo un avversario alla sua altezza, quel Berlusconi che ha evocato appena gli hanno dato il microfono, dipingendolo come l'autore "del best-seller dell'anno" per dirgli che "vende al lettore come idee nuove cose che in realtà sono già state fatte", o per metterlo in guardia da "polemiche a schiovere che fanno solo del male, anche a chi le fa".  Forse il professor Amato s'è voluto fare un regalo di Natale: togliersi i sassolini dalle scarpe, mostrare a chi lo sostiene e a chi lo accusa che alla fine la vituperata Azienda Italia chiude il 2000 con il bilancio in attivo. Per merito suo, naturalmente, come rilevano anche i sondaggi che lo danno in risalita. Eppure c'è qualcosa di paradossale, in questo scatto d'orgoglio che segna l'inizio del suo conto alla rovescia. Ci fosse stato il principe de Curtis, forse ieri avrebbe riadattato il geniale schetch dello "Smemorato di Collegno", quello in cui lo smemorato - Totò - viene avvicinato dal suo amministratore. "Ho chiuso il bilancio con un attivo di cento milioni". "Male, malissimo: lei è un incapace". "E perché, scusi?". "Perché con cento milioni di utile un bilancio si lascia aperto: apertissimo".