"In Kosovo tra mine e uranio ma l'allarme è arrivato tardi"
Parla un responsabile della bonifica dagli ordigni antiuomo
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20001228/esteri/21ura.html
di CONCETTA GUIDO

 BARI - "Circa due mesi fa è arrivata una circolare della Nato. Ordinava di sospendere ogni operazione in caso di rinvenimento di proiettili sospetti. Noi ne abbiamo trovati due nell'area di Pec, dove si trova il contingente militare italiano. Il clamore sull'uranio impoverito non ci ha sorpreso, ma è ovvio che preoccupa tutti coloro che lavorano alle operazioni di sminamento in Kosovo".

 Vito Alfieri Fontana è un ingegnere barese, ex fabbricante di mine e adesso responsabile di "Demining" di Intersos, una delle organizzazioni non governative impegnate in territorio kosovaro. E' appena rientrato in Italia, con documenti, cartine, fotografie, soddisfatto per i risultati sorprendenti ottenuti, consapevole del pericolo radiazioni al di là dell'Adriatico. E lancia l'allarme: "Chiunque sia impegnato in quei territori, sa che la sua vita potrebbe essere breve. Ma forse non lo sanno bene i militari italiani".

 Le informazioni non arrivano facilmente, anche in tempo di pace e per far scoppiare i casi, sa bene anche questo Fontana, occorre che ci sia più di una morte sospetta. "Solo ora si crea l'allarme, dovevano e potevano accorgersene prima", afferma Fontana.

 In Kosovo lui tornerà presto. Le operazioni di bonifica, fondi permettendo, riprenderanno in primavera, al disgelo. La caccia ora bisogna darla alle bombe sganciate dalla Nato e rimaste inesplose. Sono gli Uxos e le bombe cluster, a frammentazione, a costituire un'ulteriore minaccia per la popolazione. Il certificato di garanzia è già scattato per 200 mila metri quadrati e 500 ordigni sono stati scovati e resi inoffensivi.

 Sono i risultati di un anno di lavoro, per fortuna, a dare le cifre della speranza. Le mine antiuomo sono state quasi debellate: "Dal luglio del '99 a oggi abbiamo bonificato il 75 per cento del territorio". E mostra due cartine, la prima tempestata di puntini rossi, la seconda, che ritrae la situazione attuale, quasi bianca.

 "Abbiamo restituito ai contadini tutte le aree possibili sospette minate. I bambini sono tornati negli asili e nelle scuole, la gente ha ricostruito le case con le proprie mani. Soltanto il mio gruppo ha restituito 3600 abitazioni". I fantasmi della guerra, però, non scompaiono. Il nuovo allarme creato dalla faccenda dei Du (depleted uranium) non è soltanto clamore, per chi ha trascorso ore e ore nei corridoi delle mine. Per i volontari dei Balcani non è una scoperta dell'ultima ora. Le inchieste ora sono state avviate e le interrogazioni parlamentari sono partite, ma al di là dell'Adriatico si tiene da tempo in considerazione l'eventualità che accanto alla semina di ordigni bellici ci possa essere stata anche quella di armi chimiche. Una consapevolezza maturata forse anche prima che alle Ong giungessero quei fogli inviati dalle Forze armate della Nato. "La circolare della Kfor - spiega l'ingegnere barese - indica le modalità di recupero dei proiettili all'uranio impoverito. Vieta il contatto, conferma i pericoli di un'eventuale esposizione. Fa anche cenno alla possibilità di danni a lungo termine. Specialmente per i civili".

 Può succedere di tutto tra i corridoi dello sminamento, nonostante la meticolosa preparazione e organizzazione del personale e delle operazioni. E dietro la vegetazione bruciata che ogni tanto si nota in alcune zone periferiche, potrebbe esserci qualsiasi causa: "Soltanto tre settimane fa abbiamo trovato una macchia verdastra, molto estesa, a Mitrovica. Abbiamo recintato l'area e fatto la segnalazione d'obbligo", afferma Fontana.

 Il fantasma del "metallo del disonore" è spuntato accanto al pericolo reale delle bombe Nato inesplose. Gli operatori sono impegnati nella battle area clearance, la bonifica a tappeto delle aree contaminate da ordigni micidiali. Marchingegni a grappolo, che si mimetizzano nel terreno. "Sono composte da una bomba madre e una costellazione di duecento, trecento bombette. Esplodendo si trasformano in lame di rasoio e possono distruggere qualsiasi cosa nel raggio di centocinquanta metri". Qualsiasi cosa.

 L'ingegnere di ordigni se ne intende. "La mia scelta nasce da un'esperienza nel settore. Ero comproprietario di una fabbrica barese che ha prodotto mine antiuomo fino al 1993. Poi ho messo a servizio di qualcosa di utile la mia esperienza. Da quando ho iniziato a oggi le cose sono cambiate. I risultati parlano chiaro. Sembrava che l'azione contro le mine antiuomo fosse qualcosa di disperato e, invece, si possono debellare. Certo, se continuano a metterle non ci sarà mai fine".

 Speranza e amarezza. Chi torna dai Balcani le prova entrambe. La speranza di restituire tutti i terreni, compresi quelli ai confini con la Macedonia e l'Albania, ancora segnati da tanti puntini rossi, l'amarezza per un Kosovo minacciato sempre da nuovi pericoli, nonostante la grande forza di volontà della sua gente.