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"Nessuno ci avvertì mai sui rischi di quelle armi"
Parla un sottufficiale reduce dalla missione in Bosnia: "Paura? No, delusione"
http://www.repubblica.it/quotidiano/repubblica/20001223/esteri/15testim.html
di STEFANO CITATI

ROMA - 20 dicembre 2000, quinto anniversario del dispiegamento del contingente di pace in Bosnia. La ricorrenza si è svolta in un clima triste, mentre alcuni dei soldati che hanno partecipato alla missione di pace sono morti di leucemia e altri si sono ammalati. "Ero lì nel '98, ci sono stato per 4 mesi, dall'inverno alla primavera; ero di stanza a Sarajevo". Il sottufficiale che risponde alle domande ha chiesto di non essere citato, ed è ancora in servizio effettivo nel suo reparto.

Ha visto i dardi DU?

"Sì, li avrò anche visti, ma non ci ho fatto tanto caso, non sapevo certo che fossero fatti di uranio, nessuno ci aveva detto niente".

Non vi era stata alcuna informazione da parte dello Stato Maggiore?

"Nulla".

Neanche voci, seppur non ufficiali?

"Beh sì, voci sì, e sempre più insistenti col passare del tempo. Parlando con i soldati degli altri eserciti si era capito che alcune delle armi usate dai caccia americani erano "speciali"".

Gli altri contingenti erano informati?

"Non so se fossero stati ufficialmente istruiti su questo tipo di rischi; di certo sembrava ne sapessero un po' di più".

Altre missioni dopo la Bosnia?

"Prima Durazzo in Albania; poi Pec, in Kosovo".

E ora come si sente?

"Ora, almeno per me, tutto bene. Ma non per tutti è così, penso per esempio al povero Antonaci (il sergente maggiore leccese morto il 13 dicembre per un linfoma, e che era stato in Bosnia nella primavera di due anni fa, ndr). Insomma, io per ora di salute sto bene, ma psicologicamente il disagio e la delusione sono grandi".

Ha paura?

"Visti i tempi lunghi di contaminazione qualche dubbio l'ho ancora. Ma soprattutto sono sfiduciato: prima di partire, come di regola, abbiamo fatto tutti i vaccini del caso, ma sull'uranio nulla di nulla".

Colpa di chi?

"Leggo che la Nato avrebbe nascosto informazioni sull' uso di armi all'uranio impoverito ai paesi alleati. Può darsi, ma trovo comunque il comportamento del comando militari italiano carente. Siamo andati in Bosnia e nessuno ci ha detto nulla; siamo andati in Kosovo e siamo stati informati della presenza e dei rischi dei dardi DU solo mesi dopo l'arrivo sul terreno; il primo documento di cui si abbia memoria risale all'inizio di quest'anno".

E per quel che riguarda le analisi che vengono fatte al ritorno dalla missione? Pare che sia la regola prescrivere visite, ma a pagamento.

"Così è, ma come i vaccini sono analisi standard, non specifiche per casi particolari come quelli necessari per rilevare contaminazioni radioattive".

Cosa pensa delle denuncie delle famiglie dei soldati malati?

"È fondamentale che questa storia venga fuori chiaramente. Serve garantire la tutela e l'informazione di tutti gli uomini. Tutti noi vogliamo sapere e chiediamo rispetto per il lavoro che abbiamo fatto. In fin dei conti siamo noi che stiamo facendo fare bella figura all'Italia, con il nostro impegno".

Cosa ne pensano i suoi commilitoni in missione nei Balcani?

"Ricevo delle telefonate da amici, mi chiedono, sono preoccupati. Io cerco di rispodere loro che prima di tutto non devono perdere le staffe, devono rimanere calmi. Anche perché se si arrivasse all'ipotesi di voler richiamare i reparti, allora sì che si scatenerebbe una reazione nucleare. La questione è abbastanza semplice, a mio giudizio: è stato commesso un errore, adesso si deve riparare".

Come?

"Vanno rassicurate le famiglie. Io penso a me: sono sposato, mi sta per nascere un bambino. E bisogna non ledere la nostra dignità di militari. Noi vogliamo fare il nostro lavoro - io sono un volontario, sono partito volontariamente per le missioni - ma a condizioni chiare. Noi siamo soldati, ho scelto questo lavoro, mi ci sento portato, mi piace, anche se con altri avrei potuto guadagnare di più e stare più tranquillo. Dicono che siamo professionisti, ma allora vorremmo anche avere un trattamento più professionale".

Pronto a ripartire?

"Sì, perché no. Insisto, sento sinceramente il giuramento fatto alla Patria, il compito che ha permesso al mio paese di avere lustro internazionale; anche se adesso penso soprattutto ai miei commilitoni laggiù e qui in Italia, malati".