Uranio: due articoli interessanti del Gruppo Monti (26 marzo)

AGGIORNATO AL  26 Mar 2000 06:03
Svanite nel nulla le armi all'uranio
http://ilgiorno.monrif.net/chan/2/7:743413:/2000/03/26

Alessandro Farruggia

PEC (Kosovo occidentale) — A volte succedono cose strane. Il segretario generale della Nato — mica Greenpeace — annuncia al segretario generale delle Nazioni Unite che in territorio kosovaro gli aerei A-10 dell'Alleanza hanno sparato 31mila proiettili all'uranio impoverito e fornisce indicazioni di massima dalle quali emerge chiaramente che la maggior parte di loro sono finiti in territorio sotto controllo italiano. Ma, a un anno di distanza dall'avvio della guerra e nonostate l'impiego di due nuclei Nbc (che si occupa del rischio nucleare/batteriologico/chimico) dell'Esercito, recentemente rafforzati sino ad un effettivo di 60 uomini, opportunamente integrati da fisici nucleari del Cisam di Pisa, le nostre Forze Armate assicurano non è saltata fuori la benchè minima radioattività. Miracolo. Oltre nove tonnellate di uranio si sono come volatilizzate.

«I nostri controlli — sostiene il tenente colonnello Gianfranco Scalas, portavoce dei militari italiani in Kosovo — sono stati rigorosissimi. La compagnia Nbc fa solo questo e posso assicurare che nell'area di nostra responsabilità non ha trovato nulla. Tutte le aree dove sono stati installati i campi son state controllate in anticipo e lo stesso è stato fatto nelle aree dove sono piazzate nostre postazioni. Inoltre abbiamo effettuato controlli sul territorio, dato istruzioni ai nostri uomini di tenersi lontani da mezzi serbi distrutti in quanto possibili obiettivi del fuoco degli A-10 che utilizzano proiettili con uranio impoverito e abbiamo avvisato la popolazione, tramite la nostra emittente Radio West, di fare lo stesso». Certo, aggiunge Scalas, «il Kosovo ha molti problemi ambientali dall'esteso uso di eternit che come sappiamo contiene amianto all'utilizzo abituale di rubinetterie al piombo, che rilasciano metallo pesante. Ma dovremmo forse andarcene per questo? Ovviamente no. Quanto all'uranio, se ci sarà, sarà solo un capitolo fra gli altri di una difficile situazione ambientale».

Ottimista. O meglio, perfetto interprete della linea tracciata dal ministro della difesa Mattarella in Parlamento. Nella caserma di Pec tutti difendono la linea a denti stretti. «Le nostre squadre — afferma il capitano Nicolangelo Caruso, comandante del nucleo Nbc del reggimento — sono dotate di strumentazioni per effetture la misurazione della radioattività nel terreno e in aria. Dal giugno 1999 abbiamo effettuato rilevazioni in 130 punti: laddove sono schierate le truppe amiche è stato fatto un controllo radiologico e chimico che non ha evidenziato la presenza di radioattività». E altrove? «Abbiamo controllato anche i relitti di alcuni carri armati serbi (da uno a quattro secondo nostre fonti, ndr), che non sono stati risultati colpiti da munizionamento ad uranio».

Insomma la Nato si è sbagliata? Hanno sparato confetti, proiettili di piombo? Lieve imbarazzo. «Tenga presente — replica il capitano — che questi proiettili è difficile trovarli. Se mancano l'obiettivo possono infilarsi nel terreno fino a sei o sette metri di profondità, mentre se lo centrano lo perforano ma poi in parte si vaporizzano e in parte si frantumano in mille pezzi piccolissimi». Ma è possibile che di trentamila non se ne trovino non diciamo mille ma neppure uno? Interviene il tenente colonnello Scalas: «Probabilmente non erano stati sparati tutti in Kosovo. E comunque se ci sono finiremo per trovarli». Nella caserma dove giungono preoccupate chiamate di madri, mogli e fidanzate che vorrebbero sapere la verità sul rischio (inutile) al quale vanno incontro i loro uomini, il problema è però estremamente sentito. Nei giorni scorsi è stato argomento di dibattito nella truppa e le assicurazioni ufficiali non hanno convinto tutti, anzi. In attesa della mappatura del rischio — se ne occuperà l'Unep — la contaminazione, lieve ma insidiosa se avviene per ingestione di particelle d'uranio, prosegue senza tregua. E come sempre accade le vere vittime saranno le popolazioni locali: se i soldati potranno infatti contare sulla consapevolezza della minaccia il resto della popolazione deve solo sperare di non vivere vicino ad uno degli obiettivi serbi colpiti dai 31mila proiettili radioattivi. A differenza di quanto è stato fatto per le mine, nessuno sinora l'ha infatti informata del rischio.

Nella foto: uno dei tanti carrarmati Kfor in Kosovo



AGGIORNATO AL  26 Mar 2000 06:03
«L'Iraq? Un popolo cavia»
http://ilgiorno.monrif.net/chan/2/7:743413:/2000/03/26

Lorenzo Sani

ASSISI — Uranio humanum est e padre Jean Marie Benjamin, segretario della Fondazione Beato Angelico di Assisi, che da anni si batte contro i mulini a vento dell'opinione pubblica per sensibilizzare l'attenzione sulla drammatica situazione dell'Iraq, può, purtroppo, tranquillamente confermarlo. La Guerra del Golfo, datata 1991, è stato il laboratorio sul quale sono state testate per la prima volta dalle truppe americane, inglesi e canadesi, le munizioni all'uranio impoverito.

C'è un punto di contatto tra Iraq e Kosovo? «Ci sono molte situazioni comuni e cercare di capire cosa accade ad un popolo, costretto a vivere da nove anni, per effetto dell'embargo, in un vero e proprio campo di concentramento, può aiutarci a capire ciò che potrà accadere anche nei Balcani. Innanzitutto sono state usate le stesse armi, anche se in Iraq è stata riversata una quantità di DU imparagonabile a quella che ha colpito la ex Jugoslavia. Stando alle fonti alleate sarebbero 400 tonnellate, secondo Bagdad le stime quasi raddoppiano: 700 tonnellate di uranio impoverito. Nel sud del Paese si registra un aumento impressionante di leucemie, malformazioni neonatali, tumori: solo l'embargo ha fatto un milione e mezzo di vittime di cui 550 mila bambini. Sono davvero un sacrificio necessario come ha dichiarato la signora Albright in un'intervista? Tanto in Iraq, quanto in Kosovo la Nato ha ammesso solo a guerra iniziata, l'utilizzo di tali proiettili. Per comprendere il dramma del Kosovo, sarebbe importante studiare gli effetti epidemiologici sul medio termine delle armi già sperimentate nel Golfo. Ma nessun Paese si è mai mosso inviando una propria commissione scientifica in loco. Sono stati fatti studi sulla ionizzazione dell'aria che hanno confermato la radioattività, ma mi sembra che l'attenzione dell'Occidente si concentri soprattutto sulle conseguenze delle armi al DU sui militari. Nessuno, a parte il Papa, si è preoccupato lontanamente del genocidio di un popolo».
Nella foto: padre Jean Marie Benjamin

dall'inviato