IO Donna, supplemento al Corriere della Sera, 3 marzo
PARCO giochi all'URANIO

KOSOVO - Bambini tra i carri armati contaminati dai proiettili della Nato. Genitori lasciati all'oscuro dalle autorità sanitarie. Aumentano i morti per tumore. Ma solo qualche cartello avverte la gente di possibili rischi.
di Maria Grazia Cutuli
servizio fotografico di Livio Senigalliesi

[Foto: Shkumbin Racci ed Egzon Berisha, due ragazzini kosovari che, dalla fine della guerra, giocano con le pericolose carcasse dei carri armati serbi distrutti dalla Nato]

La guerra ha lasciato un regalo agli abitanti di Klina in Kosovo: cinque carri armati, abbandonati al centro del villaggio, con le corazze squarciate e le lamiere annerite. Gli adulti li trattano come l'albero della cuccagna, portandosi via tutto quello che ha l'aria di poter essere venduto o riciclato. I bambini li considerano attrazioni da luna park. "Ci giochiamo da un anno e mezzo, da quando siamo rientrati dai campi profughi" racconta Shkumbin Racci, un ragazzino di 10 anni con un berretto di lana in testa e una cartella in spalla. "Tutti i pomeriggi al ritorno dalla scuola entriamo nell'abitacolo e facciamo finta di sparare. Ci abbiamo giocato tanto che adesso non ci piacciono più". Anche il compagno, Egzon Berisha, stessa età, passa lì volentieri il suo tempo:"Pericolosi? E perché?" chiede stupito, mentre si arrampica sui cingoli arrugginiti. "Nessuno mi ha detto niente, nemmeno il mio papà". Klina, un agglomerato di case di mattoni rossi, di mura sfregiate dalle mitragliette, di vetri rattoppati, di alberi scarni, si trova a cinquanta chilometri da Pristina. Nessuno dei suoi abitanti, tutti albanesi, è stato informato che quei mastodontici giocattoli, abbandonati dai serbi nella frettolosa ritirata del 1999, sono stati distrutti con i proiettili all'uranio impoverito, lanciati dagli A-10 americani. Le polemiche sui rischi connessi all'uso di queste munizioni, i sospetti sulle morti dei militari impegnati nei contingenti di pace dei Balcani, le misure precauzionali che cominciano a circolare tra il personale internazionale si sono fermati altrove. La vita del villaggio continua a scorrere intorno ai cinque monumenti di lamiera, senza che adulti o bambini sospettino quali veleni possono contenere. Succede a Klina, ma la stessa disinformazione si ritrova in gran parte del Kosovo. Le mappe della Nato parlano chiaro. Si possono persino scaricare da Internet: tra il 6 aprile e l'11 giugno del 1999 sono stati lanciati oltre 30mila proiettili all'uranio impoverito su 112 siti della provincia. Sono caduti nell'area di Prizren, controllata dal contingente tedesco, a Djakovica e a Pec, dove si trovano i soldati italiani, a Urosevac, sotto gli americani. Come mai i kosovari non ne snno nulla? I primi a preferire il silenzio sono le autorità albanesi, compreso il leader moderato Ibrahim Rugova. Per motivi politici: far propaganda sui possibili pericoli di queste munizioni, significa gettare un'ombra sulla campagna militare della Nato, scatenare ulteriori dubbi sulla "guerra umanitaria" sostenuta dall'Alleanza atlantica per liberare la provincia dal giogo di Belgrado. "Quei proiettili forse faranno male" dice un ex combattente dell'Uck, l'esercito di liberazione del Kosovo. "Però sono serviti a cacciare le forze jugoslave". Un prezzo da pagare alla futura indipendenza della reegione? Non a caso le uniche denunce che si raccolgono nei Balcani arrivano dalla parte opposta, tra i profughi serbi della Bosnia: dai 200 ai 400 casi di cancro registrati tra gli ex abitanti di Hadzici, vicino a Sarajevo, costretti a fuggire, dopo gli accordi di Dayton, a Bratunac, nella repubblica serba di Bosnia. Ad Hadzici, dove la Nato ha scaricato 3.400 proiettili, quasi una tonnellata di uranio impoverito, i bambini giocavano con i cilindretti di metallo, trovati per le strade e nei campi. Altre munizioni sono state scoperte nella Remonti Zavod, la fabbrica militare. I Paesi che in questi anni hanno spedito contingenti militari nei Balcani, dalla Bosnia al Kosovo, sono stati costretti a mettere sotto osservazione le patologie tumorali riscontrate su alcuni soldati. Trentotto i casi dichiarati in Italia, tra i quali dieci decessi. Ma nessuno si sbilancia: il legame tra le malattie e l'uranio impoverito è tutto da accertare. La parola d'ordine è: aspettare i risultati delle commissioni scientifiche. Ed evitare che la paura contagi anche le popolazioni civili. Uno dei pochi a lanciare l'allarme è stato Pekka Haavisto, ex ministro per l'Ambiente, oggi capo della squadra di indagine dell'Onu sull'uranio impoverito: "E' vero che le conseguenze peggiori toccheranno alle persone che hanno respirato le particelle polverizzate di uranio sospese nell'aria durante le due ore successive all'attacco" ha detto a dicembre. "Ma si deve anche ammettere che all'interno delle città e dei villaggi bombardati la situazione rimane molto pericolosa. Soprattutto per i bambini che magari tengono in tasca frammenti radioattivi". La contaminazione si può nascondere tra i mattoni dei palazzi abbattuti che la gente recupera per ricostruire le case, nei prati dove le pecore e le mucche vanno a pascolare, nell'acqua dei laghi o dei fiumi. Un inquinamento post-bellico, che potrebbe avvelenare anche cibo e bevande. In Kosovo si domandano, per esempio, come mai i contingenti stranieri si facciano arrivare tutto dalla Grecia, dalla Macedonia o dai propri Paesi. "Hanno paura a respirare anche l'aria?" domanda un contadino sulla strada che porta da Klina a Pec. "Ma noi continuiamo a farlo". L'Unmik, l'amministrazione civile dell'Onu in Kosovo, ha dovuto prendere qualche precauzione. Per ora sono solo cartelli gialli che riportano la scritta:"Attenzione. Questa zona può contenere sostanze tossiche. Sconsigliato entrare". Dovrebbero essere affissi su tutti i luoghi o le strutture bombardate, ma per il momento se ne vedono pochi. Impossibile delimitare e chiudere al pubblico ogni area sospetta, obiettano i funzionari internazionali. Una di queste iscrizioni appare su una piazza alla periferia di Djakovica, davanti a un ex caserma dell'esercito federale:"Zona probabilmente pericolosa per la presenza di metalli pesanti". Probabilmente, dice il cartello. Siamo nel regno delle ipotesi, più che in quello dei fatti. L'esercito italiano ricorda che in Kosovo sono state subito impegnate le unità Nbc, le squadre delegate al controllo della contaminazione da armi nucleari, biologiche o chimiche: avrebbero individuato anche zone che potevano essere state toccate dalla radioattività. Il contingente ha utilizzato la propria emittente Radio West, per diramare avvisi alla popolazione. Ma il leit-motiv è sempre lo stesso:"Aspettiamo i risultati delle commissioni scientifiche". Altre iniziative rimangono limitate. Un'organizzazione non governativa come Intersos a marzo dell'anno scorso, quando sono arrivati i primi allarmi, ha incaricato la propria unità di sminamento di effettuare controlli sulla radioattività. "Si tratta di una campionatura limitata" dice Fernando Termentini, l'ex generale che guida gli sminatori. "Abbiamo eseguito prelievi nelle zone dove lavorano i nostri volontari e mandato i campioni in Italia per farli esaminare. I risultati non hanno rivelato niente che superi la soglia del pericolo, ma non è certo un lavoro che possiamo eseguire da soli". Intersos ha preparato anche un decalogo per i suoi operatori:"Non avvicinarsi alle carcasse dei carri armati se non si è sicuri che non siano stati oggetto di attacco con proiettili all'uranio impoverito; non entrare in infrastrutture distrutte da raid missilistici; non raccogliere souvenir bellici". E ancora, se si sfiorano aree sospette "usare mascherine antipolvere, pulire le jeep, lavarsi le mani e i capelli, rinunciare a formaggi e latticini". "Bisognerebbe però organizzare training per gli insegnanti, informare i responsabili delle comunità, creare del personale che possa condurre una campagna seria e capillare" dice il presidente Nino Sergi. "Non vogliamo creare allarmismi, ma vediamo che si sta facendo davvero molto poco". Perché tutta l'attenzione è concentrata sulla salute dei militari. Pochissimo su quella della gente del Kosovo.

Maria Grazia Cutuli

Pillole di pericolo

CHE COS'E' L'uranio impoverito è uno scarto degli impianti di combustibili nucleari. "Aggiunto" ai proiettili ne rende l'impatto più devastante.

IL NUMERO Nei Balcani sono stati usati 42.300 proiettili all'uranio impoverito.

IL CASO Il 18 dicembre 2000 l'associazione nazionale assistenza vittime delle Forze armate denuncia le possibili conseguenze dell'uranio impoverito sulla salute dei militari italiani.

IL MINISTRO Il 21 dicembre, il ministro della Difesa, Sergio Mattarella, affronta la questione alla Camera.

VERTICI NATO Una settimana dopo il ministro Mattarella chiede alla Nato la messa al bando delle armi all'uranio impoverito. Proposta respinta.

I MORTI Dieci militari italiani deceduti finora per cause riconducibili all'uranio impoverito. In tutto, secondo il ministero della Difesa, i casi sospetti sarebbero 48.

LA MAPPA Il 16 gennaio la Nato trasmette all'Italia la mappa delle zone bombardate con proiettili all'uranio. L'area occidentale del Kosovo, proprio quella controllata dalle forze italiane, è tra le più a rischio.

ESAMI PERIODICI Il 24 gennaio si decide di effettuare controlli periodici sui 53mila soldati italiani reduci dai Balcani.

M.A.