Trattato IAEA-ILO: era d'accordo anche il PCI? (18 dicembre)

Leggendo il seguente testo ci si chiede quali furono, se vi furono, le responsabilità del PCI nella firma dello scandaloso accordo nuclearista tra la IAEA e l'ILO, accordo che avrebbe abdicato definitivamente l'autorità da parte delle organizzazioni dei lavoratori, sulle ricerche sugli effetti delle radiazioni sugli operai a rischio. Viene anche da chiedersi che cosa stanno facendo, oggi, i sindacati per porvi fine.



Da: L'Italia del Novecento

Il PCI fu colto di sospresa dall'ampiezza della sollevazione: lo fu anche la CGIL che finalmente - assente Giuseppe Di Vittorio in quel momento a San Francisco, a una riunione dell'ILO, l'organizzazione internazionale del lavoro, e rientrato precipitosamente - proclamò lo sciopero generale. Una decisione che i rappresentanti cattolici Pastore, Rapelli e Cuzzaniti, il repubblicano Enrico Parri e il socialdemocratico Giovanni Canini non approvarono: disposti anch'essi - i dissenzienti - a una dichiarazione di condanna dell'attentato e a fermate facoltative del lavoro, non alla grande paralisi che avallava e legittimava un moto insurrezionale. Ma tutto questo avveniva, in campo comunista, in mezzo a molte incertezze: il Partito veniva trascinato, era alla retroguardia, non all'avanguardia. Lo era perché lo stesso Togliatti, che nel suo letto d'ospedale non poteva conoscere la situazione, ma la intuiva, aveva sussurrato parole incitanti alla calma: e lo era perché Matteo Secchia, fratello di Pietro, era corso all'ambasciata sovietica a chiedere lumi:"Si può fare l'insurrezione?". Gli era stato risposto:"No, oggi non si può". Eppure, come telegrafavano e telefonavano i prefetti, alcuni dei quali assolutamente impari alla prova, "... colonna di cinque autoblinde della polizia assalita da forze soverchianti et catturata piazza De Ferrari. Sono altresì piazzate armi automatiche sul ponte monumentale et su diversi caseggiati via XX Settembre" (Genova); "...primi automezzi usciti per pattugliamento fatti segno reiterato colpi di arma da fuoco cui agenti hanno risposto...due negozi di armi svaligiati..." (Livorno).

Scelba, anche in ore di caos e di disorganizzazione, s'era mostrato degno della sua fama di "ministro di polizia". Non perdette la calma, e chiese l'aiuto del ministro della Difesa, Pacciardi. Nel suo bilancio dello sciopero - che s'era andato esaurendo com'era inevitabile: perché a quelle temperature da calor bianco uno sciopero o diventa rivoluzione, o si spegne - Scelba fornì queste cifre: 9 morti e 120 feriti tra le forze dell'ordine, 7 morti e 86 feriti tra i civili. Il ministro rievocò anche qualche episodio di estrema ferocia: "A Monte Amiata un gruppo di facinorosi si è impadronito del maresciallo dei carabinieri. Questi è stato trovato stamane ucciso: il corpo era completamente denudato. E' risultato che egli era stato dapprima strozzato e poi finito con un colpo alla nuca. a Civita Castellana un carabiniere ha avuto la testa fracassata. A Taranto alcuni carabinieri sono stati aggrediti e calpestati dalla folla". Si ebbero poi incriminazioni e processi in gran numero, contro i responsabili - o presunti tali - degli eccessi..." etc. etc.