GUERRE&PACE
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Sulla questione dell'uranio impoverito, di cui si discute in  queste settimane, vi anticipiamo l'articolo in materia che apparirà sul prossimo numero di "Guerre&Pace (n. 76 - febbraio 2001).

PERCHE' AMATO NON SAPEVA E NOI SI'
di Walter Peruzzi

Nelle esternazioni sui proiettili all'uranio, seguite alle morti sospette di soldati italiani in "missione di pace" nei Balcani, colpiscono soprattutto l'improntitudine e il cinismo.

NOI NON SAPEVAMO

"Noi abbiamo sempre saputo - ha dichiarato Giuliano Amato - che [l'uranio] era stato usato in Kosovo e non in Bosnia. E abbiamo sempre saputo che la pericolosità si realizza soltanto a livelli di contatto assolutamente eccezionali, ad esempio prendendone in mano un frammento con una ferita aperta, mentre in circostanze normali non è affatto pericoloso. Ora invece cominciamo ad avere una sacrosanta paura che le cose non siano così semplici" ("La Repubblica", 3 gennaio 2001).

Amato comincia dunque a "sapere", o a sospettare almeno, a fine 2000. Come il ministro Mattarella ("La Nato non c'informò dei rischi") o il generale Federici ("Nessuno mi avvisò dei rischi"). Anche il sottosegretario Brutti, rispondendo il 7 maggio 1999 all'interpellanza presentata il 22 aprile dai senatori Russo Spena e Pieroni, dichiarava non esservi "conclusioni sicure sugli effettivi rischi" dell'uranio impoverito e citava a sostegno due indagini del 1988 e 1993, che "non hanno individuato il verificarsi di specifici danni derivanti da contaminazione all'ambiente ed alla salute".

GLI EFFETTI DELL'URANIO IN IRAQ

Senonché fin dal 1992-93 il dottor Siegwart-Horst Günther aveva documentato sul "The Baghdad Observer" e su testate tedesche i danni "all'ambiente ed alla salute", non per i militari occidentali ma per i civili iracheni. Ne scrissero anche "Time", "Guardian", "Le Monde diplomatique" e vari altri giornali stranieri. In Italia ne parlò per prima "Guerre&Pace" (n. 10, aprile 1994), che dedicò la copertina alla fotografia del proiettile, solo oggi riportata dalla grande stampa, e pubblicò un articolo di Gordon Poole in cui si diceva fra l'altro: "la polvere d'uranio si diffonde nell'aria e sul suolo. Se respirata può provocare il cancro polmonare, mentre le particelle radioattive possono finire nella catena alimentare". L'articolo fu inviato con una lettera di presentazione alle agenzie e ai maggiori quotidiani italiani, che si guardarono bene dal riprenderlo.

Nel 1995-96 poi, davanti al dilagare di malattie fra reduci dall'Iraq (la famosa "sindrome del Golfo"), apparvero negli Stati Uniti articoli e libri in materia (ne ricordiamo uno di Clark) e lo stesso governo Usa dovette almeno in parte ammettere quanto aveva in precedenza cercato di occultare. Ma in Italia, benché ne parlassero ormai i quotidiani, le riviste e le radio di sinistra, pacifiste o alternative, si continuava a "non sapere".

L'URANIO NEI BALCANI

Quanto all'impiego dell'uranio in Bosnia nel 1995, fu denunciato nel 1996-97 da "Belgrade Politika", da media bosniaci, da "The Nation" e da varie fonti pacifiste Usa. In Italia la notizia fu ripresa anche quella volta da "Guerre&Pace" (n. 41, luglio 1997) in un articolo del solito Gordon Poole, inviato ad agenzie e quotidiani che reagirono col solito silenzio, salvo il "manifesto". Vi furono poi denunce di altri gruppi pacifisti. D'altra parte, secondo la stessa Nato, "l'utilizzo di armi DU nelle operazioni di Bosnia non è un segreto da anni" ("La Repubblica", 23.12.2000).

Di pubblico dominio da subito era infine l'impiego dell'uranio in Kosovo, come dice anche Amato: la notizia fu data da un Tg3 poco dopo l'inizio dei bombardamenti; fu confermata all'Ansa dal generale Marani che definì quei proiettili "radioattivi quanto una pila di orologio"; fu ribadita il 14 maggio 1999 dal generale Walter Jertz in una conferenza stampa della Nato; fu oggetto il 22 aprile dell'interpellanza di Russo Spena-Pieroni prima citata; venne continuamente denunciata dai quotidiani, dai gruppi, dalle riviste, dalle radio e dai siti internet che si opponevano alla guerra; fu indicata come crimine nell'esposto presentato il 1° giugno 1999 alla Procura di Roma dai Comitati contro la guerra e subito archiviato.

PERCHÉ OGGI SANNO

In conclusione, e pur mettendo in conto reticenze o sotterfugi di Usa e Nato verso i peones dell'alleanza, è credibile che quanto sapevano piccole riviste come la nostra sia "sfuggito" a politici, governi, comandi militari, "servizi" e ai media, anche solo come "voce" da verificare con indagini autonome? È credibile che ancora nel 1999 i soli riferimenti bibliografici del sottosegretario Brutti fossero due vecchie indagini, insufficienti perfino per una ricerca di scuola media? Che non avesse mai sentito parlare (come i media che oggi invitano fior di esperti a "rivelarci" cos'è l'uranio impoverito) di sindorme del Golfo?

O non è piuttosto credibile che militari e governo (così come l'opposizione che lo sostenne nella guerra della Nato) si vedano costretti oggi a "sapere", e a far finta di non aver mai saputo, quello che avrebbero continuato a ignorare se non fossero morti i "nostri ragazzi"?

Il che consiglierebbe di prendere per quello che valgono la virtuosa indignazione di questi giorni contro i proiettili all'uranio e le tante richieste di bandirli. Questo sdegno e queste richieste, mai avanzate durante i giorni del Kosovo quando erano arcinoti il loro impiego nella guerra e i loro effetti in quella dell'Iraq, fanno parte della sceneggiata volta a "sopire" l'opinione pubblica in attesa di archiviare la pratica con una dichiarazione di non luogo a procedere per "non provata" nocività.

ANCHE GLI EX PACIFISTI NON SAPEVANO

Particolarmente indecente è il tentativo di "chiamarsi fuori" degli ex pacifisti, che si erano arruolati nella guerra in Kosovo. I verdi, da Manconi e Semenzato a Mattioli, tuonano sull'inquinamento da uranio impoverito, chiedono inchieste e moratorie. Cossutta se la prende con la Nato, che è "inaffidabile", e invoca indagini affidate non ai militari ma agli "scienziati", così come il sottosegretario Calzolaio che, in un'intervista troppo generosamente ospitata dal "manifesto", lamenta i "depistaggi", le imprecisioni e le "mappe incomplete" della Nato, "oggi che la questione è esplosa". E prima che esplodesse? Anche loro bombardavano e non sapevano? Occorre una notevole faccia tosta e un disperato bisogno di conservare la poltrono per dirlo dato che sapevano da anni, avendoli denunciati insieme a noi, gli effetti del DU in Iraq. E non potevano non conoscere l'impiego di quello stesso uranio in Kosovo, essendo di pubblico dominio ed essendo scritto nei numerosi comunicati pacifisti inviati a loro personalmente per invitarli a uscire dalla "sporca" guerra. O si erano "riprogrammati" in modo da leggere e memorizzare solo le veline del Pentagono?

LA VERITÀ DEL GIORNO DOPO

Eppure bastavano quelle per "sapere". Lo dice adesso "Panorama", lo ripete Vittorio Zucconi scrivendo su "La Repubblica" del 4 gennaio (La grande ipocrisia della guerra 'pulita') che dalla guerra del Golfo "la comunità scientifica, medica e militare americana sa che i rischi a lungo termine" dell'uranio impoverito "sono probabilmente elevati e comunque ancora ignoti" tanto è vero che dove lo si produce "le procedure di sicurezza e di decontaminazione sono strettissime, prova implicita del rischio".

Dal 1995 poi, aggiunge Zucconi, tutti sapevano o potevano sapere uso ed effetti dell'uranio andando su Internet alla voce 'depleted uranium'. "Nel Mediterraneo sono in corso da tempo studi sull'impatto ambientale e anche sul possibile rapporto causale fra uranio impoverito e lucemia". "Ottimi addetti militari italiani lavorano negli Stati Uniti a fianco di colleghi americani mandano rapporti dettagliati ai superiori e ai ministeri, nella speranza che qualcuno laggiù a Roma legga" e "non ci può essere generale italiano, portoghese o francese che ignorasse l'impiego di queste munizioni".

Il problema, conclude Zucconi, è un altro: c'era la "necessità politica" di preservare e difendere "il mito della 'guerra buona' e pulita", e a costo zero per gli alleati, "costruito per rendere digeribile la guerra alle opinioni pubbliche" e "per difendere la nuova dottrina clintoniana dell'intervento umanitario".

Ben spiegato. L'unica cosa che "Panorama" e Zucconi non spiegano è dove fossero loro mentre gli altri sapevano ma fingevano di non sapere. Poiché del DU e dei suoi effetti non ci hanno mai parlato prima (e ancora sulla "Repubblica" del 5 gennaio Antonio Polito giura che per la comunità scientifica un legame fra le morti nei Balcani e l'uranio "non c'è"), è da supporre che fossero intenti a propalare, come tutti, le bugie del giorno prima, in attesa di stupirci con la cinica verità del giorno dopo.

SENZA MASCHERA

Oggi che, come dice Calzolaio, "la questione è esplosa" (e finché non sarà dimenticata), lui e altri rivolgono anche un pensiero alle vittime civili e chiedono di "non usare più quei proiettili". Peccato che a farla esplodere non sia stata la vergogna di aver usato armi proibite (come sapevano) e di aver esposto a radiazioni letali (mille volte documentate) interi paesi, le loro popolazioni, le generazioni future, ma la sgradevole "scoperta" di non averlo fatto in sicurezza, con le "mascherine" indispensabili per dare, senza ricevere, morte. Nel che consiste la difesa dei diritti umani per l'Occidente.