La Nuova Sardegna
sabato 10 marzo 2001, S. Simplicio
«Il Sid mi spedì in Cecoslovacchia per spiare i terroristi delle Br»
Parla l'ex agente segreto "Doctor Franz" addestrato a Poglina e infiltrato oltre la "cortina di ferro" durante la guerra fredda

dal nostro inviato Piero Mannironi

ROMA. L'appuntamento è in una piccola trattoria di Trastevere. Affollata, rumorosa e gonfia di odori. Al telefono l'agente di Gladio Franz aveva detto: «Lei si sieda al terzo tavolino a destra, entrando. Mi riconoscerà subito: io indosserò un abito blu e una camicia bianca». Il tempo scorre. Il cellulare squilla di nuovo: «La prego di scusarmi, arriverò con qualche minuto di ritardo». La sensazione, forte, è quella di essere osservati. Come se qualcuno stesse facendo una prudente verifica. In fondo, non ci sarebbe nulla di strano. Farebbe parte del gioco. E' infatti del tutto naturale che l'ex agente segreto di Gladio, nome in codice Franz, l'uomo che spiava le Brigate Rosse quando si addestravano oltre la cortina di ferro, adotti tutte le cautele per non scoprirsi. E d'altra parte, al telefono Franz era stato esplicito: «D'accordo, parlerò, ma non posso espormi. Sa, devo tutelare la mia famiglia: mia moglie, miei figli. Loro non c'entrano nulla con questa storia e non devono correre alcun rischio».

Dopo mezz'ora, squilla di nuovo il cellulare: «Sono qui, la vedo». Ma nella saletta fumosa nulla è cambiato. Poi, eccolo, fuori dalla porta a vetri: un uomo sulla cinquantina, in abito blu e camicia bianca che fa un piccolo cenno di saluto con la mano. Ancora qualche minuto ed entra nel locale camminando lentamente. Si siede al tavolo e sorride cortese: «Buonasera, sono Franz». La stretta di mano è vigorosa. Il ghiaccio si scioglie subito perché l'ex gladiatore è un conversatore piacevole e affabile e riesce a dissolvere in pochi minuti il naturale imbarazzo. «Faccio il dentista - dice -. Ho uno studio qui a Roma e uno in Germania. Ne avevo uno anche in Sardegna, ma qualche tempo fa ho deciso di chiuderlo. Ora conduco una vita normale e ho una famiglia normale. A mia moglie ho detto qualcosa del mio passato, ma non tutto. Ed è naturale che lei abbia un po' di paura. In quel lavoro, ciò che hai fatto ti insegue per sempre. Miei figli no, non sanno nulla. Loro potranno scegliere di fare quello che vogliono del loro futuro. Tutto, ma non la spia».

«Perché? - continua - Ma perché sono deluso e amareggiato. Noi abbiamo fatto il nostro dovere, rischiato la pelle e bruciato un stagione della nostra vita. Non ci aspettavamo certo un grazie, ma neppure di essere liquidati così brutalmente, azzerati. E poi perfino calunniati. Come dice il mio amico Nino Arconte, l'agente G.71: "Quando una guerra finisce gli eserciti si sciolgono e i soldati tornano a casa". Per noi, invece, non c'è stato neppure l'oblio. Alcuni sono stati infatti pesantemente intimiditi, altri sono morti in incidenti a dir poco sospetti e altri ancora sono finiti in camposanto, vittime di improbabili suicidi».

«Sulla nostra storia - continua Franz -, o meglio sulla storia di Gladio, è stato detto e scritto di tutto. Io, ovviamente, non potevo conoscere la struttura, perché si articolava in gerarchie che erano protette da soglie di riservatezza. Come, ovviamente, non conoscevo la vera identità di coloro che appartenevano al servizio, ma solo i loro nomi in codice. Ma sicuramente la mia storia personale non ha niente a che fare con quanto è stato scritto negli ultimi anni. Trovo semplicemente ridicolo, per esempio, che tutto debba essere ridotto a quella lista di 622 nomi diffusa da Andreotti nel 1990. Suvvia, ci sono bugie anche troppo grossolane! Dov'è, per esempio, il mio nome? Non c'è. E poi dicono che nella Gladio non c'erano militari... Ma come si fa a dire queste cose? Io ero un civile, è vero, ma lavoravo con i militari. A chi crede che consegnassi i documenti e le fotografie sugli addestramenti della Br nei campi di Carlovy Vary e di Brno? E le fotografie delle strutture militari libiche nella Sirte, poi bombardate dagli americani, a chi crede le abbia consegnate? E quel signor Fabrizio Antonelli, che compare nella fatidica lista dei 622 gladiatori, non è forse il generale Antonelli che fu, dal 1970 al 1973, il comandante della scuola allievi sottufficiali di Viterbo?». «Non ho deciso di parlare - continua Franz - per rivendicare una pensione dallo Stato. Grazie a Dio non ne ho bisogno, faccio il dentista e vivo tranquillamente. Lo faccio perché è arrivato il momento di raccontare certe verità che tardano a emergere. E' proprio per questo che, nei giorni scorsi, ho risposto ai carabinieri del Ros mandati dal sostituto procuratore di Roma Franco Ionta, il magistrato che indaga sul "caso Moro"».